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Inutile fare finta di nulla. Il regalo che Club To Club si è fatto per il suo diciottesimo compleanno ha monopolizzato le attenzioni di tutti, in maniera trasversale, raccogliendo a Torino clubber della prima ora, i cultori più nostalgici del genere, così come gente che va a ballare senza farsi troppe domande. Inevitabile quando si ha davanti un nome come Aphex Twin che mancava dall’Italia ormai da quella torrida data estiva del 2011 in Salento nella notte del quarantesimo compleanno di Richard David James.
Ne è valsa la pena? Certamente sì, grazie a uno show perfettamente in linea con ciò che si attende da uno show di Aphex Twin: nessun compromesso, nessun ripescaggio di facile presa da boato in pista e una lezione di techno ostica, ipnotica, alienante e ineffabile tra passaggi che si fanno fatica a descrivere con parole credibili. Dai momenti acid a sporche digressioni ambientali, dalla rave di classe alla breakcore impercettibili rimandi a campioni della sua sterminata collezione, attualissimi tributi a nuovi artisti underground che stanno dando un senso al genere: Lakker, M.E.S.H., Zuli, Ruby, My Dear o Skee Mask che merita una menzione d’onore perché, senza Aphex, sarebbe a tutti gli effetti il vincitore a mani basse del weekend torinese con un set devastante, spietato e molto ballabile tra techno, jungle, UK garage e break.
Senza Aphex, dicevamo, perché Aphex, affiancato da una misteriosa figura femminile ai visual, dalla sua non ha solo l’esperienza e il gusto, ma il solito show visivamente scioccante tra laser accecanti, quegli effetti visuali che sono diventati un marchio di fabbrica, uniti a immagini deformate da quella sua inconfondibile iconografia e che ripescano personaggi random della tradizione italiana e torinese suggeriti probabilmente dalla produzione del festival: Del Piero, Andrea Agnelli, Gramsci, Rita Levi Montalcini e il profeta contemporaneo della musica italiana d’esportazione, Lorenzo Senni, uscito su Warp e da lui molto apprezzato.
Come l’indimenticabile show degli Autechre di due edizioni fa, anche questo show di Aphex Twin resterà nella nostra memoria e nella storia degli eventi italiani (mentre già da ora ci chiediamo a chi toccherà il prossimo anno). Poco importa la scaletta, poco importa se abbia ripescato “MT1 t29r2” o “Phloam”. Aphex Twin può suonare e ricombinare tutto quello che gli pare. E noi continueremo sempre a chiederci come faccia a farci vivere in un appagante e allucinante incubo di quasi due ore. Basti pensare che l’ospite a sorpresa presente in cartellone, Kode9, sempre e comunque un profeta e peraltro affezionato ospite più volte passato da Club To Club del festival, che ha avuto l’onore e l’onere di esibirsi dopo Aphex Twin, in un altro momento avrebbe lasciato tutti a bocca aperta, ma dopo un’esperienza del genere sarebbero forse serviti almeno due giorni di detox. Parte con un brano di Sophie, vira verso il footwork per poi tornare sulle sue sonorità dubstep più canoniche.
Per quanto le attenzioni siano state accentrate da Aphex Twin a livello promozionale, dal disegno apparso in una saracinesca del centro alla proiezione molto Gotham City del suo logo sulla Mole nel giorno della conferenza stampa, sarebbe fuorviante ignorare gli aspetti che stanno trasformando Club To Club nell’unico festival italiano in grado di suscitare la stessa curiosità estera dei tradizionali appuntamenti europei ed extra-europei. Con un richiamo di pubblico sempre maggiore e dimensioni che continuano a restare intime e vivibili anche con lo spostamento del secondo palco nel padiglione un tempo riservato al palco principale. L’organizzazione logistica dei flussi ha retto l’urto, salvo qualche intoppo nel momento di massima affluenza in vista dell’inizio dello spettacolo di Aphex verso il nuovo padiglione.
In un’edizione, nei suoi nomi meno noti molto più ballabile e meno concettuale rispetto a quella del 2017, paradossalmente Club To Club continua ad abbracciare nuove sonorità distanti dal panorama del clubbing e la presenza di un pubblico sempre più internazionale (nella folla si sentiva parlare davvero in tante lingue) è la prova di questo deciso passo in avanti in un momento storico in cui l’Italia sembra musicalmente chiusa e ferma su troppi aspetti.
Basti pensare a Blood Orange che ha regalato uno show in piena tradizione black e funk molto intimo e soffuso, nonostante le dimensioni del padiglione, potenziato rispetto al passato da una band più calda ed estesa, con due coristi che hanno valorizzato il talento di Dev Hynes. Oppure ai Beach House che pur tardando a ingranare, si sono inseriti senza far storcere il naso a nessuno nell’atmosfera del festival (anche grazie a perle che resistono agli effetti del decennio come “10 Mile Stereo”, “Walk In The Park”, “Lazuli” e “Wishes”). Oppure ad altre due scommesse di questa edizione come Obongjayar e serpentwithfeet con il suo R&B liturgico e alieno, capitato in un momento difficile, mentre tutti guardavano l’orologio per prendere posto in zona Aphex, con DJ Nigga Fox a prendere a schiaffi la folla a colpi di kuduro e remix ammiccanti. Oppure ancora al camaleontico Yves Tumor che si è reinventato in chiave emo/glam nel ruvido show di presentazione del suo nuovo album.
A far ballare in senso più convenzionale ci pensano soprattutto le donne, con una menzione d’onore alla navigata Josey Rebelle e a Avalon Emerson che ha chiuso con maturità la prima delle due lunghissime giornate del Lingotto, oltre a nomi più o meno underground che i clubber più attenti conoscono bene, dallo spietato Vessel al progetto giamaicano Equiknoxx valorizzato dalla presenza di una vocalist, passando per il sempre più lanciato Call Super che per moltissimi avventori della prima giornata alle OGR, è stata la vera sorpresa del festival insieme alla sofisticata Tirzah, con il suo nu-soul destrutturato e ammaliante.
Come in tutti i veri festival internazionali, è impossibile vedere tutto e rendersi ubiqui. La vera forza di un festival si misura anche in queste difficili sovrapposizioni, non drammatiche come nel fittissimo programma del 2017, ma comunque impegnativi.
Una luce al buio e una luce nel buio italiano dove brillano tante piccole luci che, si spera, anche grazie a eventi ormai imperdibili come Club to Club e a quell’idealista “Italian New Wave” – che in questa edizione ha rappresentato con nomi come Primitive Art, Mana, Bienoise, Gang Of Ducks – possano riaccendere attenzione e passione per il clubbing di qualità in tutte le realtà italiane.