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Una cosa che ho imparato quest’anno, forse la più preziosa, è il valore del tempo. Volte a mie spese, a volte a mio vantaggio, spesso rincorrendolo, spesso arrendendomi all’evidenza che le ore al giorno non possono essere più di ventiquattro e che quindi ogni tanto ci si deve adattare anche a cose più grandi di noi. La classifica che si legge qui sotto è una piccola e personale celebrazione di questo insegnamento – con tutti i suoi risvolti, positivi o negativi che siano.
Quest’anno ho ascoltato molta musica, e mai così disordinatamente prima d’ora: tempo fa tutto ciò avrebbe finito per confondermi, oggi invece mi ritengo arricchito da questa specie di caos. Qui sotto ci sono le liste delle migliori cose musicali del 2018, almeno secondo me, almeno per quello che vale ora, almeno adesso. Non so per quanto rimarrà valida, chissà per quanto ancora, chissà. Nel frattempo c’è, godiamocela. Zeitgeist.
I DISCHI
#1. Tirzah, “Devotion”
Essenziale, nel senso di puro. Ricco, nel senso di denso. Sincero, nel senso di autentico. Malinconia, serenità, determinazione, affetto, dolore, amore: dentro “Devotion” di Tirzah troviamo molte delle cose che ci fanno sentire vivi. È la dimostrazione perfetta di come per raccontare le emozioni non servano altro che le emozioni, nella loro forma più pura, densa e autentica. Una specie di insegnamento, che mi tengo stretto per il futuro. Sono convinto che mi tornerà utile.
#2. Amen Dunes, “Freedom”
Anni ad aspettarlo, il ritorno di Damon McMahon. Nel 2014 il suo “Love” mi strapazzò il cuore, con quel suo folk gelido che sembrava suonato in una caverna. Di tempo ne è passato parecchio, e lo si sente anche dentro “Freedom”: un disco caldo, avvolgente, disteso, arioso, che non rinuncia al quel mood struggente a cui ci ha abituato negli anni, ma che qui brilla di una consapevolezza nuova, ispirata, mista a disillusione e maturità – sia lirica, sia musicale. Un artista vero.
#3. Cupcakke, “Eden”
Cupcakke è sostanzialmente una delle artiste più divertenti, sfrontate e potenti che io abbia ascoltato negli ultimi anni. Con irriverenza e sagacia, rabbia e furore la rapper di Chicago quest’anno ha inanellato strabilianti pezzi hip hop, in cui testi taglienti e produzioni catchy si fondono per uno stile riconoscibile e inimitabile. Dentro i due album prodotti nel 2018, “Ephorize” e questo “Eden” (che poi è una specie di mixtape) trovate tanto tanto sesso: sesso come emancipazione, sesso come libertà, sesso come rivendicazione, sesso come lotta femminista. Semplicemente: è di questa sfrontatezza che abbiamo bisogno per combattere chi vuole un mondo omologato e ordinato. Viva il caos. Viva lei.
#4. Young Fathers, “Cocoa Sugar”
Gli Young Fathers sono una delle mie band preferite praticamente dal loro esordio discografico. “Cocoa Sugar” è già forse il punto più alto della loro breve carriera: un album intenso e pulsante, in cui l’ibridazione dei generi da sempre espressa dal trio britannico arriva alla sua massima sublimazione ed efficacia. Pezzi con il giusto tiro, che non si risparmiano anche intenti politici. Da questo disco in poi non saranno più una cosa promettente, ma una cosa grossa.
#5. Sophie, “Oil Of Every Pearl’s Un-Sides”
Semplicemente uno dei progetti musicali che segnano il tempo che viviamo. Sophie è di fatto il luogo di provenienza di buona parte delle migliori intuizioni pop di questi anni, trasformate in musica attraverso un lavoro di de-umanizzazione e de-strutturazione di tutti i canoni artistici ai quali siamo stati abituati. “Oil Of Every Pearl’s Un-Sides” è un album in cui il rumore si fa canzone, la canzone si fa gioco, il gioco si fa incubo, l’incubo si fa sogno, il sogno si fa realtà, la realtà si fa finzione, la finzione si fa verità.
#6. serpentwithfeet, “soil”
Una delle sorprese dell’anno. Non è un disco facile, questo esordio di serpentwithfeet, ma è uno di quei lavori che più lo ascolti e più ti avvolge. Dentro “soil” confluiscono influenze tra le più disparate – dalle sperimentazioni neo-classiche a quelle elettroniche e avanguardistiche, dalle sonorità pop alle morbidezze soul – che insieme si fondono in un suono che brilla di ispirazione e talento.
#7. Leikeli47, “Acrylic”
Schizofrenico, umorale, immediato, impulsivo: “Acrylic” di Leikely è uno dei dischi più buffi e divertenti che ho ascoltato quest’anno. Non c’è nessuna linea, nessun ordine, nessun tentativo di rendere coerente quello che non può esserlo: pura immediatezza in salsa hip hop, che spesso e volentieri strizza l’occhio a melodie a presa rapida – proprio come il colore acrilico: mi piace pensare che questo collegamento non sia solo nella mia testa. Tra due mesi non lo ascolterò più? Può essere. È il suo bello.
#8. Noname, “Room 25”
Che classe, che classe. Con il suo secondo disco Fatimah Nyeema Warner mostra tutto il suo sfaccettato universo musicale, in cui le morbidezze sonore r’n’b celano insicurezze, piccole grandi battaglie personali, storie di dolore e sofferenza. La sensazione è che ci siano, dentro Noname, ancora molte altre preziosità da scoprire. Ma intanto, per ora, godiamoci questi gioielli.
#9. Rival Consoles, “Persona”
Un lungo viaggio sensoriale che si insinua delle pieghe del cervello e lungo le terminazioni nervose, in cui gli stimoli elettronici si propagano e pulsano all’interno delle cellule del nostro corpo, con l’intento di scardinare l’architrave che tiene in piedi la nostra differenza tra il chi siamo e il come appariamo. “Persona” di Rival Consoles è questa roba qui: una specie di sfida ipnotica a noi stessi, alle nostre contraddizioni, alle nostre abitudini e alle nostre esigenze. Un disco che ti trascina a fondo – e per questo non può che insegnarci molto.
#10. Yves Tumor, “Safe In The Hands Of Love”
Non ancora capito se Yves Tumor c’è o ci fa, e di conseguenza non ho capito se Yves Tumor mi piace davvero o no. Però questo disco è talmente pieno di cose così teatralmente storte, complicate e fastidiose che continua ad affascinarmi: per questo, lasciarlo fuori dai primi miei dieci album dell’anno sarebbe stato ingiusto. Tra qualche mese potrei comunque essere pronto ad ammettere di aver sbagliato.
ALTRI DISCHI
Fuori dai primi dieci c’è molta altra musica meritevole di più di un ascolto. Li metto qui di seguito in ordine sparso.
“Joy As An Act Of Resistance” degli Idles è un disco che anni fa avrei amato molto di più, e che a tratti mi provoca parecchio batticuore. Lo stesso discorso vale per altri due album: “And Nothing Hurt” di Mr. Spiritualized Jason Pierce, con un ritorno disgrafico che almeno a me pare un qualcosa molto simile ad un maestoso addio alle cose suonate, e “7” dei Beach House, una delle mie band preferite di sempre, che finiscono fuori dai primi dieci dischi per la prima volta da quando scrivo classifiche. Altri dischi che ho ascoltato parecchio: “Be The Cowboy” di Mitski, che è sostanzialmente senza punti deboli; “Insecure Men” degli Insecure Men, per il loro pop obliquo e bislacco e perfetto che in futuro si farà notare molto di più di ora (idem per i The Goon Sax e il loro ultimo “We’re Not Talking”); “The Lamb” di Lala Lala, semplicemente il mio disco indie-rock dell’anno; “Free From Mixtape”, il primo vagito pop/r’n’b di Dizzy Fae, di cui scommetto sentiremo parlare molto bene e molto presto; “Isolation” di Kali Uchis, per lo stesso motivo, che apprezzerò ancor di più sulla lunga distanza; “Another Life” di Amnesia Scanner, che è il genere di musica che i pochi esseri umani rimasti sulla Terra ascolteranno tra centoventi anni, chiamandolo “pop”; il quasi omonimo “In Another Life” di Sandro Perri, al cui interno c’è il fantasmino di Arthur Russell e solo per questo andrebbe ascoltato sorridendo; “Dream Songs” di Devon Welsh, artista a cui sento di voler bene come una persona cara.
GLI EP
#1. Sega Bodega, “self*care”
Come per Amnesia Scanner, anche qui siamo dalle parti di quella che io immagino essere la pop music del 2170. Ma anche senza dilungarsi troppo in previsioni bislacche, possiamo dire che Sega Bodega condensa in soli sei pezzi un immaginario sonoro (e visivo) originale, non scontato e peculiarissimo. Dopo anni di produzioni e singoli sparsi ecco finalmente un’opera che seppur breve esprime già parecchie parecchie idee.
#2. Shygirl, “Cruel Practice”
Shygirl è la socia in affari di Sega Bodega, anche lei parte del collettivo NUXXE che a Londra sta modellando la nuova club culture. Come per il producer di Glasgow, anche questa giovane ragazza della periferia di Londra sembra una che ha – e avrà – molto da dire. “Cruel Pratice” mette in scena un suono conturbante e sensuale, violento e tagliente, capace di miscelare ricerca di melodie e attitudine sperimentale spesso senza troppi compromessi.
#3. Smerz, “Have Fun”
Una delle ultime scoperte dell’anno in senso cronologiche. Duo norvegese di stanza a Copenhagen, al primo disco su XL Recordings. Un mix elegante di r’n’b ed elettronica, che spesso assume consistenze eteree e sintetiche. Questo primo EP contiene già qualche gran bella gemma.
#4. Sudan Archives, “Sink”
Sudan Archives è senza dubbio uno dei nomi più interessanti dell’anno. Violinista autodidatta, con questo dischetto d’esordio mescola attitudine pop e r’n’b a sonorità sperimentali, che spaziano dall’elettronica ad influenze afro. Un universo sonoro che la giovane ventiquattrenne riesce a liofilizzare con sorprendente mestiere in soli sei brani.
#5. Kilo Kish, “Mothe”
Anche con Kilo Kish siamo dalle parti di un nome che ha tutte le carte in regola per diventare importante. Una specie di Kelela dalle sonorità meno a fuoco, e forse per questo apprezzabile. Una pietra preziosa, ancora allo stato grezzo. “Mothe” intanto fa intravedere che brillare si può già.
#6. Panda Bear, “A Day With The Homies”
Questo EP non esiste online. O meglio, esiste se siete dei bravi pirati. Peccato, perché per essere una raccolta di pezzi in parte già usciti precedentemente e qualche interessante novità, non è per nulla male. Però Noah ci piace così, pazzerello. Vai di leak!
#7. Jenny Hval, “The Long Sleep”
La mia streghetta preferita quest’anno ha scelto di incidere una ninnananna lunga quattro canzoni e secondo me se vi piacciono gli incantesimi dovreste dargli un ascolto almeno. Non durerà molto, purtroppo.
#8. MorMor, “Heaven’s Only Wishful”
Su questo ragazzo di Toronto ci punto parecchio. Le mie scommesse finiscono spesso con io che le perdo, ma ecco, ci provo: nel 2019 scommetto su MorMor. Il suo primo EP ci regala passaggi di un dream pop morbido e sognante.
#9. Channel Tres, “Channel Tres”
House molleggiata, quel giusto grado di tamarraggine che non stroppia, qualche bella miscela mescolata con motivi black: Channel Tres mi piace molto.
#10. Toxe, “Blinks”
Potrebbe essere accusata di eccessiva nostalgia Toxe, in questo suo primo lavoro su PAN. Però io sono nato nel 1990, e non posso provare nostalgia per anni che non ho vissuto – non è che “Blinks” mi sembri roba nuova, ma è roba buona.
IL DISCO ITALIANO
Il mio disco dell’anno preferito è senza se e senza ma quello di Setti. “Arto” è un labirinto, una botola, uno specchio. Se lo ascolti bene lui ti conosce benissimo. Sa già tutto di te. È parte di te, Arto. Sei tu, è lui, sei lui. Fa un giro largo e poi ti abbraccia.
IL VIDEO
Il video dell’anno è di una canzone uscita l’anno scorso, e forse non è solo un video ma un film rimpicciolito. Spoiler: fa piangere.
LA CANZONE POLITICA
“Simulation: it’s the future (…). Evolution, kill the gene / Biology is superficial / Intelligence is artificial“. Grimes ha capito di nuovo tutto? Sì.
LA CANZONE
“The world has shut me out / If I give everything I’ll lose everything / Everything is about me /
I am the most important thing / And you really haven’t thought / All those cyclical thoughts for a while / And as it keeps going / I could never be involved / I could never really see in real time / I could never really be involved / And as it keeps on going / I could avoid real time / I could ignore my busy mind / I could avoid contact with eyes / I could avoid going outside / I could avoid wasting my life / I could avoid / I could avoid 20 20 sight / I could avoid standing in line / I could avoid the 405 / I could avoid coming to life / I could say anything I like / I could switch off whenever I like / I could sleep whenever I like / I could leave in the middle of the night / Oh, but I’d miss it / Don’t miss it / Don’t miss it like I did /And as it keeps going /If there’s no need for the perfect image / And nothing seems that wrong / Don’t miss it / When you know there’s better conversation / Waiting for you at home / And as it keeps on going / You forget whether it was the beginning or end / When you can’t believe your luck / You’re with your friend / When you get to hang out / With your favourite person everyday / When the dull pain goes away / Don’t miss it (don’t miss it) / When you stop being a ghost in a shell / And everybody keeps saying you look well / Don’t miss it / Like I did”
STRADICONSIGLIA 2018
Anche quest’anno ho creato la playlist con le migliori canzoni dell’anno. Se avete diciotto ore libere eccola qui sotto.
LA FOTO DELL’ANNO
La vista dal quindicesimo piano del Parlamento Europeo di Bruxelles.