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Devo essere sincera, dopo il primo ascolto di “Ladytron”, ultimo album dell’omonima band di Liverpool, ho sentito un irrefrenabile desiderio di recuperare alcuni brani dal passato come “Black Cat” e “Destroy Everything Touch”. A otto anni di distanza da “Gravity the Seducer”, il quartetto inglese ritorna al suo pubblico con un disco nichilista e dark, pieno zeppo di synth, ritmi dance e voci soffocanti. Scritto da remoto dai quattro sparsi tra Chicago e São Paulo, questo album è stato in gran parte finanziato dal crowdfunding tramite Pledge Music. Non si sa se questa scelta sia stata o meno quella vincente, fatto sta che rispetto agli altri lavori del gruppo, il suono appare più confuso, pesante e, in alcuni frangenti, simile a quello di alcuni loro colleghi elettropop come SOPHIE, Robyn, Christine & The Queens, CHVRCHES che fanno eco in brani come Until the Fire e The Island.
L’orecchiabile “The Island”, primo singolo estratto, si tinge di inquietanti sfumature, una sorta di thriller fantascientifico sonoro, fatto di toni accesi e voci angoscianti. Il brano esprime attraverso l’utilizzo oscuro dei synth, una critica per come trattiamo il nostro pianeta, chiamando gli “umani selvaggi” e “calcolatori architetti” ma è al contempo, una richiesta di unità nei confronti di quelle persone che invece vogliono proteggerlo.
I testi dei Ladytron tendono da sempre ad introdurre elementi fantastici, onirici come nel caso dell’ammaliante “Deadzone”, che merita una menzione d’onore per come è in grado di rapirti con la sua bomba synth anni 80. Anche se le tracce possono occasionalmente sembrare un po’ confuse non suonano, di fatto, mai forzate. “Horrorscope” e “You’ve Changed” presentano ritmi elettronici lucidi quasi ballabili, con chitarre ronzanti o tastiere echeggianti che si propagano. La band combina abilmente l’energia cupa post-punk industriale con uno stile di canto che ricorda una filastrocca per bambini: “L’horrorscopo in particolare ha un caos sinistro che immagina un circo nell’incubo di un bambino”.
“Ladytron” si conclude con due grandi e svettanti tracce pop, “The Mountain” e “Tomorrow Is Another Day”. Il primo parla di un sentimento di isolamento, imperniato su strati di voce mentre quest’ultima, racconta di una relazione personale fatto di cicatrici, segreti e veleno; di acqua e vecchi ricordi; di “mito e fantasia in tempi fantastici”, e lo fa con i sintetizzatori che iniziano malinconicamente per poi trasformarsi in rapsodia. E’ un brano colmo di tristezza, ma vuole anche gettare una luce di speranza in un futuro apparentemente cupo.
“Ladytron” mi è piaciuto, ma devo ammettere che non è stato amore al primo ascolto come con i suoi predecessori. Una ragione potrebbe trovarsi nella lunghezza, tredici tracce che risultano in alcuni casi ridondanti. Non è sicuramente un album immediato, ci vuole un po’ di cura nell’ascolto. Necessita di un momento per accendersi ed invadervi con le sue armonie. Ma è solo questione di tempo, appena si rivelerà, irromperà come fumo incantatore in tutti e cinque i vostri sensi.
65/100
(Simona D’Angelo)