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“Ko De Mondo” del Consorzio Suonatori Indipendenti ha da poco compiuto venticinque anni. Abbiamo deciso di rendergli omaggio con qualche pensiero scritto senza troppe regole: quello che ci andava di dire, insomma.
“Ko De Mondo” è una ricerca da altro per trovare se stessi, è come una fotografia che ci fa qualcuno che così possiamo vedere meglio come siamo fatti. Ed è un album di luoghi: i CSI andarono ad inciderlo a Finistère, in Bretagna, ma da lì rileggevano le montagne di Ferretti e il nuovo corso (con mille incognite) del post-muro (di Berlino), un iniziale percorso che portò dapprima molte speranze europeiste, oramai disgregate. E forse Ferretti aveva intravisto tutto questo, perché la risposta al crollo delle ipotesi comuniste era stata quella di ripartire dalla terra, dalle origini, da quel “facce gambe pance braccia” di “Del Mondo” che oggi – in un’epoca retrograda e da nuovo medioevo – è persino normale. Così le distanze si accorciavano: quelle dal Mare Celtico alla prima provincia di Reggio Emilia, in un paesino di nome Codemondo che diventa metafora di tutte le piccole comunità, e gli spazi tra la musica italiana del precedente decennio (sostanzialmente inesistente tranne i Litfiba e pochi altri) a quella rigogliosa dei Novanta che partì dal Consorzio Produttori Indipendenti e andò molto oltre.
E’ un racconto umano, di ricerca, un canto propiziatorio di fortuna nella sfortuna, che non a caso si conclude con questa parola: “danza”. A noi, su questa terra, non resta che ballare.
(Paolo Bardelli)
“No, non ora non qui” cantava GLF in ‘Depressione caspica’, uno dei brani simbolo di quel ‘Epica Etica Etnica Pathos’, anello di congiunzione tra il percorso dei CCCP e quello dei futuri CSI. Non ora, non qui: EEEP era un altro mondo rispetto a quello che era stato il lavoro dei CCCP. Soprattutto evolveva la poetica di Ferretti, partita da un coltissimo cut-up a divenire sempre di più una produzione totalmente ‘originale’ e personale. L’ultimo disco dei CCCP è allo stesso momento il primo dei CSI. Non ora, non qui: il lamento di chi ha trovato il modo di comunicare senza avere il giusto palcoscenico: sono gli anni della distensione, non è più il momento della ‘forza che muove l’acciaio’. Cambia il modo di comunicare, ma la forza rimane quella di un tempo: il capolavoro minimalista di “Memoria di una testa tagliata” è una delle più strazianti composizioni sulla guerra del pop contemporaneo. Inutile poi parlare dei singoli brani, ormai diventati ognuno a suo modo pietre miliari della musica italiana, anche grazie a quell’aura di sacralità che, anni dopo, verrà rimproverata a Ferretti per via delle sue posizioni politiche -anche sul piano artistico-. Ma per noi ragazzi semplici che godiamo semplicemente della fortuna di avere questo pezzo d’arte nelle orecchie, possiamo dire solo: grazie Consorzio, grazie Giovanni.
“Povertà magnanima, mala ventura, /concedi compassione ai figli tuoi… / Glorifichi la vita, e gloria sia, / glorifichi la vita e gloria è…”
(Matteo Mannocci)
Da Codemondo a Finistére e ritorno. Il 1994 è l’anno dell’inizio dell’avventura dei C.S.I., che pur arrivando da una storia importante e carica di significato come quella dei CCCP, si ritrovano in un territorio nuovo. “Ko de Mondo” ne è un vero e proprio manifesto. Le asperità punk del passato lasciano per larghi tratti spazio alla melodia e ad un ispirato lirismo. Ma la forza delle note e delle parole che escono dai solchi di quel disco rimangono in testa sin da subito. I cambiamenti attorno al duo Ferretti e Zamboni non sono solo quelli dei musicisti che si radunano attorno a loro, ma anche quelli di un mondo che è mutato nei suoi equilibri nel giro di pochi anni. “Ko de Mondo” è quasi come uno sforzo per riassestare tutto, trasformare il caos in ordine.
(Francesco Melis)
Fine e inizio. Come un faro, che è la fine della terra e l’inizio del mare che comincia lì di fronte, “Ko De Mondo” si erge esattamente sul confine impervio che sta tra quello che è stato e quello che sarà. Nel 1994, a pochi anni dalla caduta del Muro di Berlino, dallo sgretolarsi dei blocchi ideologici e delle generazioni che le incarnarono, dallo scioglimento dei CCCP, Ferretti e Zamboni (e Maroccolo, Canali e tutto il resto di quell’acida alleanza) danno voce e musica ad un’altra storia, e per raccontarla e inciderla su disco si trasferiscono in Bretagna, in un paesino affacciato sull’Atlantico il cui nome non può certo essere derubricabile al termine “coincidenza”: Finistère, dal latino Finis Terrae, la fine della terra. Da quel pezzetto di scogli di fronte all’Oceano Giovanni Lindo Ferretti fa i conti con un mondo che si è sgretolato e che si affaccia a nuovi immaginari, dei quali però l’ormai ex-punk reggiano avverte – già da lì, già da quel momento – l’inevitabile fragilità: sa che presto quello zeitgeist di inebriante europeismo non può avere futuro; sa che presto i popoli uniti torneranno a dividersi, dando sfogo a miopi pulsioni violente; sa che presto, molto prima del previsto, la Storia farà il giro e offrirà alle moltitudini personaggi grotteschi in grado di incidere sulle società e le menti; sa che da lì a poco tutto crollerà, di nuovo, inesorabilmente. Venticinque anni dopo, un altro “Ko De Mondo”.
(Enrico Stradi)