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Dopo aver scorrazzato di qua e di là alla ricerca degli album dimenticati (a questi link potete recuperare il vol. 1 e vol. 2), per questo nuovo appuntamento di approfondimento degli Anni Dieci andiamo indietro con i ricordi per raccontarvi i concerti più memorabili. Ci sono tour e tour molto diversi anche dello stesso artista, ma quello che è certo è che un live è qualcosa di irripetibile, e questi – a nostro parere – lo sono stati.
APHEX TWIN, Club To Club, Torino, 3 novembre 2018
Quanto può essere dannoso l’hype che le agenzie di comunicazione creano in vista di un concerto o un festival? Annunci che arrivano dieci mesi prima, improbabili countdown sui social tipo “mancano solo 100 giorni…”, terrore da sold out, stress da secondary ticket, per poi arrivare al giorno del live esausti e con troppe aspettative finendo per rimanere delusi da quello che, in fin dei conti, era solo un concerto di un essere umano e non l’eventone del secolo. Il Club To Club l’anno scorso non era stato meno ansiogeno, quando nel maggio del 2018 ha scelto di annunciare che l’headliner sarebbe stato Aphex Twin facendo comparire a sorpresa sul paginone di un giornale il suo logo iconico. L’immagine, oltre ad apparire nei posti più strani del mondo, da un capolinea di una metro di Londra ad una saracinesca del centro in Via Carlo Alberto (come d’altronde Richard D. James ci ha abituato in anni di imponente guerilla marketing) una sera è stata addirittura proiettata sul simbolo di Torino, la Mole Antonelliana, cosa che a memoria non era mai successa nella storia della città per un singolo artista. Il senso dell’operazione era chiaro, ovvero confermare definitivamente, dopo l’arrivo negli anni di artisti come Thom Yorke e Krafwerk, il profilo internazionale di un festival in continua ascesa come il Club To Club con il prestigio che porta un set del producer più iconico del ‘900, nonostante le produzioni un po’ insipide degli ultimi tempi, nello stesso anno in cui dall’altra parte di Torino la Juventus era riuscita a suon di milioni a comprare Cristiano Ronaldo, rendendo la città famosa in tutto il mondo. Insomma, il rischio di pompare allo sfinimento un’esibizione di un artista che non ha più niente da dimostrare e che magari avrebbe fatto un set sottotono era dietro l’angolo, e le malelingue non presenti nella serata erano già pronte ad affilare la pena con dei “Te l’avevo detto che non è più quello di…”. Ma così non è stato. Non solo l’uscita a settembre di quella bomba d’altri tempi di Collapse EP ci ha fatti dimenticare un lavoro trascurabile come Syro, ma il set di Aphex Twin in una sala del Lingotto colma fino all’inverosimile è stato qualcosa di sonoramente e visivamente indimenticabile. Suoni da viaggio nell’iperspazio, remix di brani storici modificati fino all’irriconoscibilità e pezzi presi dai producer più interessanti del momento (Zuli, Lanark Artefax, Bicep) si sono uniti nell’aria a laser da Guerre Stellari e soprattutto allo show grafico dei designer londinesi di Weirdcore, che hanno stravolto “alla Aphex” le facce di personaggi italiani a caso, da Gramsci a Ciccio Graziani, da Rita Levi Montalcini a Lapo Elkann, divertendo tutti ed alleggerendo un set tanto affascinante quanto ostico. L’hype soprattutto in questi anni può essere dannoso quando l’artista è un semplice essere umano e non mantiene le alte aspettative, ma è del tutto giustificato per un alieno al massimo della sua forma.
(Stefano D. Ottavio)
A PLACE TO BURY STRANGERS, Musica W Festival, Castellina Marittima (PI), 12 Agosto 2011
Se mi si chiede di un concerto memorabile degli anni zero è facile e ragionevole perché su quel terreno ho la combo Soulwax /LCD Soundsystem di Arezzo Wave. Invece, quando la cosa si riferisce al decennio dei ’10 ho questo automatismo di raccontare la serata dadaista di Castellina nell’agosto 2011 (nell’ambito del piccolo, artigianale, riuscito Musica Viva). Credo che mi sia rimasta impressa perché mi ricorda una delle band che lungo gli anni ’10 ho amato sul serio, vista in un contesto così ruvidamente incongruente da diventare la cornice più adeguata ad una tale mattanza di chitarre. Siamo in quel pezzo di entroterra a ridosso della costa livornese che però è di competenza pisana, così per il piacere di confondere. Ricordo anche che quella è una serata freddissima, tipo ottobre. Il paese è lì, mica si svuota per lasciare il posto a quelli venuti per il festival. Partecipa col ricco materiale umano di cui dispone e vive l’esperienza del trio noise ai giardinetti come una cosa tutto sommato plausibile. Anche quando pare ovvio che la piccola gradinata ad anfiteatro stia per crollare per le martellate dalle casse. “Keep Slipping Away” è naturalmente la cosa più intellegibile. Anche il restante magma viene prevalentemente da “Exploding Head” (2009), disco che amo senza mezzi termini. Non so per quale motivo in particolare ma decido da quella sera di volergli ancora più bene, ad Ackermann. E questo nonostante le cazzo di immagini in cui regge la torre di Pisa.
(Marco Bachini)
ARCA, Club To Club, Torino, 3 novembre 2017
Nel 2017 Arca è ormai uno dei musicisti più apprezzati del panorama elettronico e sperimentale, dopo aver lavorato con grandissimi nomi (Bjork, Kanye) e tre dischi, l’ultimo dei quali lo ha visto aprirsi ad un pubblico decisamente più vasto.
Il live di Torino diventa quindi la consacrazione del talento di un artista che è riuscito a coinvolgere nello stesso live la sperimentazione più avant, il gusto per il pop, gli straordinari e brutali visual del fido Jesse Kanda, di cui ancora sogno il violento fisting trasmesso sui megaschermi (fun fact: il visual artist e musicista ha festeggiato il compleanno proprio sul palcoscenico) e un lato performativo che rende il concerto un vero e proprio spettacolo, pescando a piene mani dall’immaginario drag per intrattenere e sconvolgere il pubblico.
Proprio per la sua natura totalizzante, è difficile rendere col solo testo il livello di coinvolgimento emotivo, ma nel momento in cui Arca si è fermato davanti a me su dei trampoli meccanici e mi ha guardato in faccia, appoggiandosi sulla spalla del ragazzo che era di fianco a me, ho riconosciuto di stare assistendo a uno dei momenti più memorabili di questi anni.
(Matteo Mannocci)
BON IVER, Motovelodromo, Ferrara, 19 luglio 2012
Un viaggio da Milano con amici con cui avrei poi passato tante serate sotto un palco, un momento in cui Justin era al giusto livello di ispirazione, mai più raggiunto.
Nonostante l’ambientazione (il Motovelodromo al posto di Piazza Castello a causa delle scosse di terremoto dei giorni prima) e l’impresentabilità del protagonista: canotta sfatta, capelli arruffati e barba improbabile, le canzoni, quelle canzoni. Il terzetto “Holocene”, “Skinny Love” e “Creature Fear” da brividi solo a pensarci.
Nulla fu più lo stesso dopo quella sera e non solo per me.
(Raffaele Concollato)
FLAMING LIPS, Primavera Sound, Porto, 8 giugno 2012
Per quello che riguarda le esibizioni dal vivo, devo dividere l’ultimo decennio in due parti. Nella prima sono stato particolarmente attivo, come nel decennio precedente e in cui ho visto veramente un sacco di concerti. Questi ultimi tre-quattro anni c’è stato un certo rallentamento. Comunque se dovessi menzionare una esperienza specifica e che credo possa solo entusiasmare praticamente tutti, al di là di quelli che possono essere anche i miei gusti personali, direi che almeno una volta nella vita, vale veramente la pena di vedere dal vivo i Flaming Lips. Mi è successo alla prima edizione del Primavera Sound ad Oporto (2012). Ho visto sicuramente gruppi e musicisti di gran lunga più bravi suonare dal vivo e in fondo ritengo i Flaming Lips molto (moltissimo) fumo e poco (quasi zero) arrosto. Non considero Wayne Coyne alla stregua di un genio, alla lunga francamente lo trovo anche quasi di cattivo gusto, e la discografia del gruppo per me è insufficiente e l’ultimo disco, poi, è veramente terribile. Eppure dal vivo sono veramente divertenti. Il loro live è un vero e proprio spettacolo, una allegoria di suoni e di colori: coreografie caleidoscopiche, esplosioni di coriandoli, maschere e pupazzi giganti, palloni, ballerine e ascoltatori coinvolti in prima persona e resi essi stessi medesimi parte in causa di qualcosa che – è evidente – non si risolve nella musica, ma nel suo contorno. Forse più di una volta no, ma quella unica vale tutto il prezzo del biglietto e la suggerisco a tutti. Del resto sono convinto che continueranno a stupire e dare spettacolo perché evidentemente non me possono fare a meno. La canzone simbolo? La solita “Yeah Yeah Yeah Song”, eletta soundtrack rappresentativa di quella prima edizione del festival in Portogallo, e forse alla fine il singolo più fortunato (risale al 2006, l’album era “At War With The Mystics”, ben prima quindi del live cui faccio riferimento) mai pubblicato dal gruppo, nonostante non sia stato rilasciato nel caratteristico format “cranio”come la pubblicazione su Skulls Unlimited.
(Emiliano D’Aniello)
FRANK OCEAN, Way Out West, Göteborg, 10 agosto 2017
Frank Ocean non ha mai amato suonare dal vivo. Per il suo ritorno sui palchi, agognato e più volte posticipato, decide di presentare la ricostruzione intima di un bedroom studio, amplificazione montata intorno alla platea, luci fisse e un’ora e addirittura un’orchestra sulla passerella che unisce il palco di Frank montato al centro della platea e il big stage vuoto.
Un’ora di emozioni e lacrime che lo consacrano come uno dei più umani, fragili e ispirati autori degli anni Dieci.
(Piero Merola)
KING KHAN & BBQ SHOW, Tender Club, Firenze, 6 febbraio 2015
Il rock’n’roll è stato dato per morto tante volte ma un concerto, come quello fiorentino di King Khan & BBQ Show nel 2015, ti fa capire che certo garage (rock) underground è vivo e vegeto, sempre pronto a regalare serate folli nella bolgia più totale, come se non ci fosse un domani. Basta poco: due chitarre indiavolate e una cassa/rullante che detta ritmi infuocati, impazziti.
(Monica Mazzoli)
PATRICK WOLF, Almagia’, Ravenna, 25 ottobre 2012
Il mio live memorabile degli anni dieci resta anche una delle ultime esibizioni di Patrick Wolf.
Una serata di canzoni raffinate in veste acustica e minimale, quasi fossero parte di Wolf stesso visto il suo avvicendarsi a tanti strumenti diversi. Tuttavia in questo caso genialità fa rima con fragilità, come provano due indizi rivelatori: la misteriosa interruzione di un quarto d’ora a metà concerto e una foto nel booklet del disco presentato nell’occasione – “Sundark and Riverlight” – che lo ritrae con un pistola in mano. Da allora non si contano le vicissitudini che hanno minato la carriera del londinese classe ’83, dalle diatribe finanziarie con il manager alla volontà dell’etichetta di farne un’icona gay, un libro di poesie mai uscito e la malattia della madre, per finire con l’incidente d’auto in cui ha rischiato la vita nell’estate 2015. Detto questo, il ricordo del concerto all’Almagià di Ravenna è unico nel suo genere, ma mi auguro un giorno di sentire nuova musica di Patrick Wolf.
(Matteo Maioli)
PAVEMENT, Primavera Sound, Barcellona, 27 maggio 2010
Il 2010 è stato, concertisticamente parlando, un anno da ricordare anche e soprattutto per la reunion dei Pavement. La seconda volta che ho visto la band californiana su un palco è stato quell’anno. Se tanti dettagli sfuggono a distanza di così tanto tempo, ricordo le emozioni che viaggiavano quasi di rimbalzo tra il gruppo e il pubblico, la scaletta scientificamente perfetta, ogni brano cantato quasi all’unisono, il tempo che si ferma per più o meno un’ora e mezza, Kevin Drew dei Broken Socia Scene ospite sul palco, i bis con “Stop Breathin” in chiusura.
Un concerto che ha racchiuso l’essenza di un paio di decenni prima.
(Francesco Melis)
Pavement Full Concert Part 1:3 @ San Miguel Primavera Sound 2010
Pavement Full Concert Part 2:3 @ San Miguel Primavera Sound 2010
Pavement Full Concert Part 3:3 @ San Miguel Primavera Sound 2010
SEUN KUTI & EGYPT80, Ypsigrock Festival. 12 Agosto 2018
Al Chiostro San Francesco sono da poco le cinque, percorro le curve del circuito della targa Florio nell’afa di un pomeriggio d’agosto lasciandomi dietro un coro di cicale impazzite. Raggiungo Castelbuono e occupo il mio posto per assistere a uno dei live della fascia pomeridiana dell’Ypsigrock Festival. L’androne si riempie fino alle file più lontane e rumoreggia per Seun Kuti, figlio di Fela, storico iniziatore nigeriano dell’Afrobeat, frontman erede degli Egypt80. Al primo tocco di percussioni e fiati l’energia si libera. La platea esplode e il groove trasforma in rituale collettivo uno dei live più coinvolgenti delle ultime edizioni del Festival. Le danze avvolgono e scoperchiano i temi di rilevanza sociale: dalla corruzione fino al richiamo alle bellezze del continente africano. Un’osmosi di carica ritmica e protesta che attualizza le tematiche politiche, spezza l’impianto indie rock dell’Ypsig, e origina uno show che è anche il segnale di un ponte tra le culture e che per questo assume il significato di un inno generazionale.
(Eulalia Cambria)
SUFJAN STEVENS, Teatro della Luna, Milano, 21 settembre 2015
Sufjan Stevens è uno di quegli artisti che ti cambiano l’esistenza – o almeno così è successo al me adolescente quella volta che in prima Liceo ho ascoltato per la prima volta “Chicago”. Sufjan Stevens è anche il protagonista del live più indimenticabile dei miei ventotto anni vissuti finora: quella sera di metà settembre a Milano me la ricordo ancora bene, nitidamente, così come succede ai migliori ricordi che conserviamo nella mente. La trepidante attesa dei presenti prima che il concerto iniziasse, il religioso silenzio con cui tutti – tutti – assistevano a quella specie di epifania, i brividi fortissimi sulla pelle e dentro le ossa, e infine il finale – luminoso, catartico – con il pubblico che finalmente si lascia andare ad un emozionato coro sottovoce proprio sulle note di “Chicago”, quasi a non disturbare l’esecuzione, quasi a prometterci che le cose andranno avanti comunque. Quella sera Sufjan Stevens era arrivato a cantarci il disco sulla morte di Carrie e Lowell, sua madre e suo patrigno, ma solo quando si riaccesero le luci di sala ci accorgemmo che in realtà quello a cui avevamo assistito era un autentico, potentissimo, commovente inno alla vita.
(Enrico Stradi)
Il live report di Piero Merola
UNKNOWN MORTAL ORCHESTRA, Mattatoio, Carpi (MO), 22 novembre 2013
Se avessi dovuto parlare solo con il cuore avrei detto Cure-Milano-2012 (e ne ho visti una decina di concerti di Robert Smith e soci, per cui quello fidatevi che è stato speciale), ma nell’ottica di importanza nel decennio la mia scelta è UMO a Carpi (a questo link il live report all’epoca). Gli UMO avevano in effetti aperto il decennio con quel loro miscuglio nuovo di fuzz, ’60, ’70 e psichedelia, e avevano proposto una strada diversa per meticciare l’indie. Nel concerto di Carpi mi colpirono perché intravidi un nuovo approccio: istintivo seppure tecnico, con 5 minuti di assolo di batteria, un diverso modo di prendere sul serio la materia musicale. E invece arrivò l’epoca dell’estetica, del pop e dell’hip-hop: non ci avevo visto lungo, ma la sensazione, anche a distanza di tempo, è che gli UMO indicassero un percorso corretto per il futuro: immediatezza, bravura, merito ed urgenza comunicativa.
(Paolo Bardelli)