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Dalla Norvegia arriva uno dei lavori power-pop con cui dovremo fare i conti a fine anno. Gli I Was A King, formati nel 2005 dai chitarristi e vocalist Anne Lise Frøkedal e Frode Strømstad con il bassista Ole Reidar Gudmestad e il drummer Pål Hausken, hanno trovato durante il cammino il sostegno di grandi artisti quali Robyn Hitchcock, Sufjan Stevens, Gary Olson dei Ladybug Transistor e Norman Blake dei Teenage Fanclub, con il quale rinnovano la collaborazione di “You Love It Here” (2012) per il sesto album “Slow Century”, una deliziosa raccolta di undici brevi canzoni tra melodia e rumore come nella tradizione del miglior rock indipendente.
Biglietto da visita all’ascolto sono i singoli “Bubble” e “Hatchet”; la prima costruita su un giro di accordi di stampo californiano e un refrain immediato (It Looks Like A Bubble/Facing Trouble) e la seconda più dinamica con un piglio alla Lemonheads periodo “It’s A Shame About Ray”. La brumosa “Clouds” gioca sull’intreccio efficace delle chitarre che la rendono il brano new-wave del lotto mentre “Tiny Dots” si tinge di folk grazie all’utilizzo in sottofondo di banjo e fisarmonica.
Laddove “Run” è la scheggia piena di ruvidità grunge, “Tanker” funge da placido contraltare: gli I Was A King non lesinano in varietà di stili e umori nella loro musica, raccontando la vita quotidiana delle contee affacciate sui fiordi in un misto tra nostalgia quando se ne è distanti ed eccitazione nell’uscire e suonare in giro per l’Europa. Lavorando con i quattro nella piccola Egersund Norman Blake deve essersi sentito di nuovo ragazzo come nella sua Bellshill.
In episodi quali la title track e “Shake” li accosterei ai gruppi di casa Innovative Leisure – The Molochs, Allah Las – nello spostare l’obiettivo più indietro a Beatles, Byrds o Velvet Underground, ma è nella fantastica doppietta “No Way Out” e “Egersound” che gli I Was A King tirano fuori i muscoli. Da una parte feedback e tiro degli Yo La Tengo, dall’altra una cavalcata che ricorda da vicino gli inni scritti da Norman per i Fanclub come “Everything Flows” e “Neil Yung”. Infine in “Lighthouse” l’unione delle voci di Frøkedal e Strømstad è perfetto ed etereo, dimostrandoci che il miglior pop può nascere ovunque e che non è mai troppo tardi per scoprire una grande band.
78/100
(Matteo Maioli)