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Il peso della storia e la leggerezza dell’interpretarla e di esserne colonna: i Low vanno in scena all’Auditorium Parco della Musica e lo fanno in un modo unico, personale, rivoluzionario.
La loro è una capacità impareggiabile di dare forma alla musica, ogni feedback o suono uscito dall’impianto è cucito su delle voci delicate, morbide che attraversano i pannelli di legno della sala e toccano, in modo salvifico, ogni presente.
Il live è un susseguirsi di suoni da “sezione aurea”, che trova l’estrema bellezza e armonia proprio nel disordine e nell’accurata capacità di valorizzare le semplicissime distorsioni usate. Non c’è ridondanza, in particolare nei suoni della chitarra. I Low, come dopotutto insegnano dal 1993, hanno dato un nuovo significato al senso di intimismo nel rock: nel live la dimensione esistenziale vaga in solitudine, tra il collasso e l’esaltazione cosmica.
Complessivamente le voci di Alan e Mimi sono bilanciate perfettamente, immerse in una stratificazione pura di colpi di cassa, tom e passaggi di basso.
Anche il loro modo di dedicarsi alla musica elettronica sul palco è assolutamente concettuale: il suono come l’estensione di un pensiero, di un’esigenza comunicativa che si trasmette tramite un universo di sonorità incontaminate, analogiche e schiaccianti.
L’accurata rappresentazione della “distopia” di “Double Negative” prende vita nel live che diventa una sonorizzazione totale sul pianeta Terra, sulla società e sui problemi in cui navighiamo/affoghiamo.
I Low sono splendidi nella loro attitudine di mantere a-contemporanea la contemporaneità, il loro è un veleggiare in un mare in tempesta che da lontano ha il potere di farci stare bene, di farci sentire compresi e immersi nel processo di una storia che ha gettato le basi a Duluth e ora tocca il mondo e la storia nella sua integrità.
Sul palco dell’Auditorium c’è la sintesi di una ricerca sonora, ambientale e spirituale che abbraccia i primi lavori e culmina nei brani di “Double Negative” (che occupa una buona metà di live).
I Low riescono nel disagio dei loro racconti ad essere bastone e carota per la nostra anima, ci accompagnano come un maestro saggio ma duro (come J.K. Simmons in Whiplash) infatti anche dopo i passaggi più duri, riescono sempre a trasmettere una speranza insita in ogni momento, anche in quello più opaco e buio.
Esattamente qui è la forza dell’unione tra Alan, Mimi e Steve Garrington: nel vitalismo di fondo e nella spinta a cercare, anche nelle più cupe atmosfere di “Dissarray ” o della monumentale “Do You Know How To Waltz”, il passaggio che ci porta alla speranza, alla salvezza.
Il live è taumaturgico, un’esperienza che evoca le sette sfere del drago, un sacrario che proprio per l’incredibile intelligenza della band, si mette sempre in discussione, brano dopo brano.
All’uscita dell’Auditorium rimane il silenzio, ma non inteso come una fredda mancanza di suono: per riprendere John Cage, dopo il concerto dei Low, riusciamo a percepire il silenzio come una somma, scaturita dall’unione di tutti i suoni che ci sono rimasti dentro e che ormai ci circondano e fanno parte di noi.
I Low sono la musica perfetta per la fine del mondo oppure per l’alba di un nuovo universo: il Big Bounce, in effetti, è più vicino dopo un concerto così.
Ora tocca a voi decidere da che parte stare e, in caso di apocalisse, potete scegliere quale disco metter su, per l’ultima volta.