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Innamorarsi di Natalie Mering è stato facilissimo. Vederla coverizzare i CAN di “Ege Bamyasi” in un live a dir poco magico, mi ha fatto capire quanto la ragazza americana, classe 1988, avesse dalla sua la fortuna di un bagaglio storico. Primi dischi per alcuni passatisti, per il sottoscritto deliziosi bozzetti fatti e finiti di folk arcaico e senza tempo. Te ne fregavi dell’anno, mettevi sul piatto un disco che non aveva luogo, non seguiva mode e non aveva paura a dare coordinate dell’artista.
Poi arriva Sub Pop, arriva il fatidico terzo disco (quarto se consideriamo “The Outside Room” del 2011 con i Dark Juices) ed ecco il punto di rottura, lo snodo, l’esplosione del background, non solamente musicale. Il folk si colora di archi, la musica si fa cinematografica e dietro queste canzoni di una bellezza spaventosa si cela il “timore” di un successo planetario. Succederà davvero? Me lo auguro per Natalie. Perché le canzoni del nuovo “Titanic Rising” sono adattabili a qualsiasi tipo di emozioni. Musica confacente ai sentimenti.
Prendete il Wall of Sound di Spector e donategli la sensibilità femminile. Prendete il concetto di Retromania (nel 2017 Natalie ha condiviso un EP con Mr. Ariel Pink, tra l’altro) e irroratelo di paillettes e colori accesi. Non solo folk, quindi, ma canzoni che partono dalla semplicità dei Fab Four (un accordo di piano, una chitarra, un ritornello che ti fa cantare a squarciagola come in “Something to Belive”) e che si trasformano in apnee di synth dove la voce cerca il suo posto “Movies” e dove lo spazio-temporale del british-folk tocca le pellicole dei film in bianco e nero. Un bianco e nero limpido e chiaro, però. Perché non siamo nel passato. Emozionante e poetico. Perché la musica servirebbe solo a questo.
80/100
(Nicola Guerra)