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Quello che ho subito pensato leggendo la storia della genesi di questo progetto è che a volte basterebbe poco (“che ce vò”) per mettere assieme le persone e realizzare assieme cose meravigliose. Per la verità penso effettivamente che le cose stiano così: rivendico la natura sociale dell’essere umano, un carattere imprescindibile che è “opportunità”, perché così possiamo considerare del resto ogni possibile interazione con il prossimo. Fare le cose con il prossimo. È una opportunità perché è comunque una scelta e un pardosso come si potrebbe dire dell’amore, dove dare equivale allo stesso che ricevere. In una qualche maniera, gli equilibri del mondo intero, quelli della natura e insiti anche nella natura dell’essere umano, si reggono su questo meccanismo. Naturalmente la componente razionale, particolarmente avanzata nell’uomo rispetto ad altre manifestazioni della vita (e questo costituisce innegabilmente un punto a nostro favore), e il suo eterno conflitto con quella emozionale più primitiva, spinge a interrogarci su questo punto, quando succede, oppure a lasciare questo contrasto irrisolto. Ma del resto non esiste un equilibrio stabile perché la stasi significherebbe morte.
Comunque in questo caso specifico, Radio France e in particolare Hervé Riesen e il regista e producer Jérome Ettinger sono riusciti a mettere assieme un progetto che ha qualche cosa di incredibile: il Benin International Musical.
Adesso sarà bene cercare di spiegare che cos’è esattamente il Benin International Musical. Perché questo non è solo un collettivo che fa della musica incredibile, affondando le sue radici nel patrimonio culturale di quello che una volta era il Regno di Dahomey, una striscia di terra nell’Africa Occidentale e afflitta nei secoli prima per la tratta atlantica degli schiavi (il 20% degli schiavi africani portati nelle Americhe veniva dal regno…) e poi dal colonialismo, che come nel resto del continente, ha lasciato strascichi e conseguenze terribili e che ne fanno uno dei paesi più poveri del pianeta. È invece un progetto più ampio che ha lo scopo specifico di esplorare a fondo il paese e la sua cultura, la sua musica, i suoi rituali e i suoi ritmi, creando un punto di contatto con il cuore del Benin e la lunga tradizione del Regno di Dahomey, che durò per oltre tre secoli con una storia difficile (vedi la tratta degli schaivi) ma allo stesso tempo ricca di contenuti: tutti i movimenti musicali del ventesimo secoli si ritiene provengano dal Benin. Forse è una forzatura, eppure questo paese è stato veramente la culla di quei generi che poi sono diventati jazz, salsa, funk, hip hop, il gospel, il blues e il rock and roll.
Il progetto si è sviluppato anche con un vero e proprio documentario (un musical, appunto), oltre che sul piano strettamente musicale con questo album uscito a maggio su World Tour Records/Big Wag e prodotto tra gli altri anche da Jean-Paul Romann, già producer tra gli altri di Tinariwen e Terakaft.
Non c’è bisogno di aggiungere molto altro, voglio dire che date le premesse ci si può solo aspettare il massimo da questo disco, registrato da un ensemble di sette componenti che rendono omaggio alla cultura e la storia del proprio paese anche contemporanea e per forza di cose controversa e segnata da forti contrasti sul piano sociale e difficoltà di natura economica. Il sound pesca a piene mani dalla tradizione, il banga e il caratteristico groove afro-beat, forme di cantato più tradizionale e venti del deserto, fino a mescolanze tra tishoumaren, hip-hop e salsa e merengue: sonorità assolutamente coinvolgenti e di una forza che mette assieme la Dur-Dur Band e l’afro-beat più dancereccio, la makossa e tratti di spiritualismo Tinariwen. Fulminante.
Mondo Sounds Festival a S. Vito Lo Capo (TP) inizia oggi 28 giugno 2019, qui potete trovare il programma del Festival con cui collaboriamo.
Emiliano D’Aniello