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“Boat” dei Pip Blom è un disco anestetico, manifesto della solerzia e sinonimo di una dinamicità primordiale e accattivante.
Possiamo spingerci oltre, con una descrizione più dettagliata, spiegando come il lavoro sia un microscopio puntato su un universo post-adolescenziale costruito su una serie di genuinità armoniche che si muovono come microorganismi danzanti e pullulanti.
La capacità della giovanissima band olandese è nel sapersi dosare, posare, inquadrare in modo netto, canzone dopo canzone, sui particolari necessari a raccontare una storia che sappia biforcarsi in microcosmi affascinanti.
Tra sguaiati passi di basso e l’intrinseco post-punk della batteria c’è un magnetismo che funziona e cattura la nostra attenzione, in particolare in brani come “Tired” o “Sorry”.
L’approccio nella costruzione della sonorità è strutturale, immediato, ma di grande effetto.
Le linee melodiche sono distese con quell’aria cazzeggiante che fa, necessariamente, rima con sognante.
La descrizione dell’attimo ruggente dei Pip Blom culmina in un tour, in una serie di viaggi su un furgone che, nel giro di qualche settimana, si riempie di storie, spazi nuovi e ricerca sonora.
Il punk è preso non più come una scelta modaiola o impregnata di utilitarismo, ma come un’esigenza comunicativa vera, che culla “Boat” in un bozzolo acerbo, ma fottutamente poetico.
L’equilibrio in alcuni pezzi è da Philippe Petit: il passo è felpato, preciso e con il semplice ascolto riesce a sconvolgerci per regolarità, fluidità.
Un pezzo come “Say It” suonato e interpretato da una band diversa, anche più esperta, potrebbe risultare noioso, ma nel registro dei Pip Blom regala una spensieratezza di fondo.
Allen Ginsberg a metà dei ’60 registrava i soundscape delle città americane, integrandoli con una serie di ragionamenti sulla sua stessa personalità multipla e complessa: i Pip Blom fanno un’operazione del genere immortalando una visione che parte, torna e si ricongiunge ad un rock che parte da un tour, semplice, romantico e sognante, passato su un van.
Un tuffo e un pizzico di Sonic Youth nel mare delle tempestose e incerte acque europee: i Pip Blom offrono un riscatto melodico ad una tradizione musicale più sperimentale e caotica, nel senso più positivo e poetico del termine.
Il suono costruito da Dave McCracken è perfetto, al limite del plasticoso, e forse un prodotto così potrebbe lamentare una certa mancanza di artiglio pungente, tuttavia la scelta stilistica della band è chiara: la pulizia del suono e la maniacale ricerca della comunicazione spontanea fanno parte di un modo di essere netto e luminoso.
“Boat” è un lavoro maieutico, partorito dalle esperienze, dalle aperture, dall’incontro con gli States, dai piccoli festival: insomma la barca effettivamente è un meta-luogo in cui spostarsi e trovare una nuova forma estetica al rock, e badate bene non al RUOCK.
71/100