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Calcutta, Zoo Music Festival, Pescara, 08/08/2019
Costruire un live come un abito da cucire addosso al mood, all’attitude e al pensiero artistico di un artista come Calcutta, non deve essere stata un’impresa facile.
Tutto però è riuscito e anzi, con il passare delle stagioni, le dimensioni di un live come questo crescono e si intersecano perfettamente con l’identità artistica di Edoardo.
Non credo sia interessante analizzare Calcutta come fenomeno sociale, perché i numeri possono crescere, ridimensionarsi, contrarsi ma non dicono mai (o quasi) la verità, o perlomeno non dicono nulla di interessante.
Il successo c’è ed è innegabile, tuttavia è molto più interessante vedere come lui si muova in simbiosi con il mood e le atmosfere dello spettacolo. Il concerto, in una concezione pop del termine, deve essere un momento pieno di effetti speciali, situazioni mai viste, ma in questa ricerca del colpo di scena raramente un live pop riesce ad essere una reale estensione di un pensiero artistico, spesso tutto rimane in una dimensione asettica e senza un contenuto. In questo caso però c’è uno sviluppo coinvolgente, costruito anche su collaborazioni storiche come quella con Gioacchino Turu o Francesco Lettieri.
Calcutta è refrattario ad inscatolarsi a qualsiasi corrente musicale in Italia, lui scrive, pensa in un modo suo e porta con leggerezza tutto questo sul palco. La capacità di esprimersi senza peso: Calcutta è la sintesi (pop) dell’annata che vuole celebrare lo sbarco dell’uomo sulla Luna, il suo live ha una gravità di 1,62 m/s².
Uscite come “Due Punti” fanno comprendere il processo di scrittura, di immaginazione di Edoardo che è veloce, lieve e con le parole, anche durante il live, gioca con tranquillità, consapevole di avere un modo di interagire con il pubblico (durante l’esibizione) che è unico e raro.
Leggero, sintetico e lieve credo siano le tre parole chiave adatte per comprendere al meglio il live
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Come i materiali usati d Marisa Mertz le parole nei brani, cantati dalla gente, prendono vita: anche i brani più sentiti trovano una soluzione nuova, un artificio e l’efficacia adatta per rimanere accattivanti e piacevoli. Oroscopo, ad esempio, è stata vestita con un intro di piano e ha preso una nuova forma, più confidenziale, anche per chi non amava particolarmente il brano.
La base sonora è retta da grandissimi e giovani musicisti come Giovanni Imparato (Colombre) e Alberto Paone: probabilmente la ristrutturazione/ampliamento della band e dei suoni ha permesso al live, nel corso degli anni, di fare un salto di qualità non indifferente. Calcutta è come una galassia capace di attrarre un coacervo di musicisti di talento, dal primo “mini-tour” di Evergreen con Giorgio Poi alle chitarre fino a questo tour con il già citato Colombre.
Calcutta è un cantiere aperto dove però non ci sono anziani che aspettano, ma tanti (nuovi) fan che gridano e strepitano (al limite dell’eccesso). I “lavori in corso” sono eccellenti e appaganti per tutti gli spettatori, possiamo tornare a casa soddisfatti, perché un live così coglie l’essenza della nuova “cultura pop”.
La crasi è compiuta e i fan di vecchia e nuova data rimangono abbracciati e contenti dalla metamorfosi calcuttiana che si traduce in un set impegnativo: impensabile, per chi lo ricorda nel palchetto dietro piazza Salotto alcuni anni fa, ma sorprendente anche per chi lo scopre grazie ad una canzone che passa in radio.
Quella di Calcutta è una cultura pop fatta di pochi luoghi comuni e propensione all’effetto speciale, che non è mai invasivo o casuale. Tutto è rimasto genuino, anche se lo spazio è cambiato ed è stato ampliato, le voci sono aumentate di volume e le persone sono triplicate.
Calcutta è un caso a-tipico che non può fare scuola o istigare imitatori: c’è una casualità romantica e un tempismo nella sua ascesa artistica che non è riproducibile, probabilmente tutto questo è anche difficile da analizzare a tavolino e con razionalità.
Il motore del live è nel desiderio del pubblico di vivere, respirare e parlare come Calcutta. C’è come il bisogno di indossare una disinvoltura nell’essere caotici, ma proprio questa dote fa sentire tutti a casa.
L’essenza della spontaneità del momento è tutta in una frase di Yukio Mishima, scrittore di culto giapponese:“Use me as you wish. Discretion guaranteed. Will cause no bother at all”. Gli attimi del live sono vissuti con una discrezione (molto contemporanea) che si estende tra schermi e social, mettendosi in dialogo anche con i desideri più intimi del pubblico.
Tutti porteranno, senza alcun disturbo, un pezzo del live a casa e useranno i brani come propulsori per accendere sogni mancati e promesse infrante. Calcutta è l’essenza di una nuova cultura di live che forse nel suo essere liquida e cross-mediale sta trovando, perlomeno in Italia, una serie di nuove forze per sperimentare e cambiare il volto del pop italiano.