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Le cronache parlano di ottantamila persone a occupare il prato de La Favorita quarantanove anni fa, nel luglio del ’70. Nelle intenzioni di Joe Napoli, manager americano di origini siciliane, doveva avversarsi il progetto di una kermesse internazionale che avrebbe trasferito in Italia l’ondata d’urto partita da Woodstock e dall’isola di Wight. I preparativi erano cominciati a gennaio di quello stesso anno e sul cartellone comparivano già nomi grossi. Quasi per certi venivano dati i Led Zeppelin, Pink Floyd e Rolling Stones. L’evento si tenne dal 16 al 19 luglio; Jimmy Page assecondò la proposta di utilizzare una foto di Robert Plant per il manifesto, con le altre band non ci fu nulla da fare: la macchina dei finanziamenti era rimasta impigliata in una lenta impasse burocratica.
Tutto sommato la scaletta serbava più che ottime cartucce: Aretha Franklin, Duke Ellington, Tony Scott, Kenny Clarke, Brian Auger, Johnny Hallyday, Exseption e Arthur Brown. Seguirono inevitabili critiche allo show del cantante britannico che si sarebbe spogliato durante l’esecuzione di “Fire”, finendo agli arresti per atti osceni e non mettendo mai più piede in Italia. Aretha, ostinata a non abbandonare la stanza d’albergo a Mondello, durante l’attesa della sua esibizione, lasciò spazio a una band locale molto promettente, il gruppo beat dei Clan Free.
Ma l’anno dopo, nel settembre del ’71 si replicava. Palermo Pop virava verso sonorità nuove, in particolare quelle progressive. Era la volta dei Black Sabbath, dei Colosseum, del Banco del Mutuo Soccorso, della PFM, de Le Orme, New Trolls, Osanna e Stormy Six. Sul versante pop italiano si parlava di Lucio Battisti che tuttavia rifiutò alla vigilia, secondo alcuni, per ansia da palcoscenico. Nel ’72 ci fu un’altra edizione, l’ultima, segnata anch’essa da interventi della polizia. Le tensioni avevano al centro accuse causate da episodi di “eccesso di amore libero” accaduti tra il pubblico durante il concerto dei Mungo Jerry. Fu, del resto, l’inizio del clima duro che si respirò negli anni che seguirono e che condusse in buona parte all’eclissi della musica dal vivo in Italia.
Quella di Palermo e del suo Festival costituì una stagione irripetibile e isolata, l’ultima espressione illusoria di una generazione all’epoca in cui ancora era vivo il sogno hippie.
(Eulalia Cambria)