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Viva! Festival, Locorotondo (BA), 1-4 Agosto 2019
Per fortuna che c’è la Puglia e per fortuna che c’è la Valle d’Itria a farci sentire meno provincia, un po’ più europei e ostili a barriere e confini, geografiche e di genere, figli di questa generazione orgogliosamente sfigata e lacerata e non di una generazione passata o delle scorse, come ancorati a quella nostalgia da revival di due o tre decenni fa di cui forse non ci sbarazzeremo mai. In una stagione di piccoli festival dal concept inesistente fatti di line up fotocopia che fanno faticosamente leva sui soliti nomi, la Valle d’Itria è sempre più un’isola felice. Se pensate a quanto costruito dal Locus in più di un decennio e a quanto sta cercando con altrettanta tenacia e visione Viva! Festival, non possiamo non parlare di miracolo. Se lo scorso anno e nella prima di edizione di due anni fa due nomi a cavallo tra radio illuminata e radio nazionalpopolare potevano sembrare i classici nomi catch all (ci sarebbe Priestess che non è Ghali o Liberato, ed è scelta in primis come promettente icona local rappresentante italiana della scena urban) nella terza edizione del festival organizzato da Club To Club non c’è nemmeno questo. C’è un’idea raffinata, a suo modo coraggiosa e complicata senza strategie win-win e senza scelte comode in una zona accogliente e rilassante, ma tutt’altro che comoda da raggiungere. E poi ci sono le venue, due masserie immerse tra trulli e ulivi, e altrettanti palchi con vista sull’incantevole altopiano di Locorotondo che da quest’anno è più che mai base e quartier generale del weekend, accanto ad altri eventi paralleli ospitati da altri centri della valle.
ERYKAH BADU DJ LO DOWN LORETTA BROWN 🖤
Pubblicato da Piero Merola su Sabato 3 agosto 2019
Si potrebbe facilmente obiettare che Apparat e Jon Hopkins sono due di quei nomi da vittoria facile, assurti ormai al rango di figure onnipresenti un po’ come per la musica leggera quei big di Sanremo di cui non si può fare a meno. Ma è anche vero che si parla di un festival nato come elettronico, nelle sue sfumature più elasticamente comprese nell’arco costituzionale del genere, che è organizzato nel paese mestamente più refrattario ai festival elettronici, per non parlare dei festival. Ed è quindi impensabile rinunciare, quando possibile, a due nomi del genere, anche se il primo dei due offre, come prevedibile, uno show più vicino agli ultimi indecisi Radiohead o agli Alt-J. Da crepuscolo più che da dancefloor berlinese dei primi anni Dieci. Con classe e sapienza, ma senza scossoni. E poi c’è ovviamente Erykah Badu.
Buona parte del riflettori sono ovviamente puntati su di Lei, al debutto italiano in queste inedite vesti da dj di strada d’altri tempi, affiancata da DJ A.I. e da un bassista ad accompagnare alla maniera dello storico bassista di Erykah, Thundercat, questa performance tra djset e sottofondo con interventi vocali che inevitabilmente mandano in visibilio fan di ogni età e livello di passione o conoscenza della musa di “Baduizm”. Come testimoniano le sue comparsate in festival jazz e contemporanei, Erykah Badu non ha lo stesso livello di hype nazionalpopolare che ha in altre parti del mondo dove è ancora un’icona incontrastata dopo vent’anni e passa, ma grazie al potere di internet e al travolgente predominio della black music dell’ultimo del decennio, ha incuriosito anche chi nel 1997 non era ancora nato o al massimo frequentava le scuole elementari. Per l’Italia e per Viva! chiamarla in questo angolo di meridione nascosto e fiabesco nei panni di DJ Lo Down Loretta Brown è un regalo, una chicca che impreziosisce la serata conclusiva. Tecnicamente fino all’alba, visto che il suo sodale A.I. è ospite e protagonista dell’Unusual Breakfast Lavazza che chiude in spiaggia il weekend del festival. Che dire di Erykah? Anche se il suo non è un live, un live come quello apprezzato (o forse subito completamente annichiliti e a bocca aperta) all’ultimo Primavera Sound, è impossibile non restare rapiti dai suoi movimenti, dalla sua classe, da quella sagoma e da quello sguardo alieno, sinuoso e ammaliante.
Il mood, come detto, è molto adult, molto elegante e mai sopra le righe, in linea con buona parte dei nomi in cartellone, i bpm, gli scenari e l’ecosistema musicale di Viva! Festival, quest’anno meno da clubbing in senso europeo e più che mai ondeggiante sulle distese ritmiche del funk, del soul, dell’house con un retrogusto tra afro e tradizione musicale mediterranea per palati raffinati. È un filo conduttore tutt’altro che impercettibile, benché scevro da logiche di scena o origini geografiche: l’enciclopedica selezione di genere-sui generis del guru Gilles Peterson, il compassato (troppo!) e a tratti intimorito Todd Terje che ha l’arduo compito di infilarsi dopo il djset dello storico conduttore di BBC6 e fondatore delle iconiche label Acid Jazz e Talkin’ Loud, i ripescaggi della tradizione sotterranea partenopea tra digging clamorosi e leggende metropolitane del progetto Napoli Segreta. Spostati nel palco principale a causa della cancellazione last minute per problemi di voli ritardati e coincidenze mancata dell’attesissima Jayda G, sarebbe stato più funzionale e, per loro semplice, vederli nel palco della Masseria Aprile che lo scorso anno ospitava una Boiler Room molto rustica e che quest’anno ospita un palco circolare con sound a 360 gradi perfettamente integrato per luci e architettura in un dancefloor che conserva la pianta di un trullo.
🔥 Bamba Pana & Makaveli 🔥
Pubblicato da Piero Merola su Venerdì 2 agosto 2019
Il Second Stage anche per questo motivo regala due delle performance migliori del weekend, le più coinvolgenti e dirompenti, entrambe decisamente proiettate su ritmiche e poliritmie che rompono la continuità della line up. Bamba Pana l’inseparabile sodale MC Makaveli, hanno schiaffeggiato i presenti con un saggio di quel mix impazzito a tre milioni di bpm di techno e singeli, il genere underground più popolare della scena metropolitana della città tanzaniana Dr Es Salaam. Un’esplosione di colori e schegge ubriacante e a tratti imballabile, ma a suo modo catartica e liberatoria che ha fatto di quest’ora targata Nyege Nyege Tapes il momento più alto e innovativo del festival. Insieme a loro è doveroso menzionare, anche perché troppo spesso li si dà per scontati, i Ninos du Brasil con la loro performance musicalmente ormai lontana anni luce dal chiassoso carnevale degli esordi e che si è definitivamente trasformata, grazie alla presenza di perforanti basi mixate e integrate con lo show che ormai fanno storia a sé e rendono l’esperienza un’alienante e martellante trip di batucada oscura, incessante, assordante, da abbattere timpani, trulli e i tipici muretti a secco. Anche per il live atmosferico e rarefatto di Apparat in tanti si spostano verso il secondo palco e restano rapiti da questi Ninos Du Brasil 4.0 e così la sicurezza è costretta, per la prima e unica volta, a chiudere lo spazio per motivi di capienza. Ci va vicino anche il set di Ciao. Discoteca Italiana, progetto nato all’Astoria di Torino, di recupero, rimescolamento e ri-sdoganamento dei classici della canzone d’autore italiana che trasforma il Second Stage in un festival nel festival, a metà strada tra karaoke, matrimonio e hangover collettivo.
Yves Tumor anche senza la sua band di improbabili residuati bellici pseudo-glam, in pieno stile pseudo-punk fa quello che ci si aspetta da Yves Tumor con tanto di invettive non si capisce se al pubblico un po’ cloroformizzato o alla polizia (l’ha vista solo lui), o al playback che lo tradisce nei momenti più delicati. Ma si sa, la sua è una performance, e se non avete ancora capito il senso del suo progetto rinunciate a rifletterci perché il camaleontico produttore e artista americano adottato dall’Europa e da Berlino, starà già pensando a come cambiare forma ed estetica.
Il momento più insolito e sorprendente dei tre giorni lo regala Juan Wauters, esempio vivente di cosmopolitismo da bardo uruguaiano adottato dalla Brooklyn di Captured Tracks ma in eterno vagabondare in giro per il mondo, con uno show acustico voce e chitarra dal taglio molto bucolico e latino. Sarebbe stato interessante ascoltarlo alle prime luci dell’alba. Così come sarebbe stato interessante ascoltare il set della giapponese Powder che come Peterson ha ripescato “Devozioni dialettali” di Enzo Avitabile (anthem assoluto del festival), ma per vari motivi come spesso accade ai festival e nei lunghi weekend musicali non sempre si riesce a incastrare tutto.
Anche se potevamo essere in qualsiasi altra parte del globo, eravamo in Puglia, a mezzora o poco più dall’Adriatico, nella Puglia e nell’Italia più aperta, internazionale e fieramente cosmopolita dell’estate 2019.