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Ypsigrock Festival, Castelbuono (PA), 8-11 Agosto 2019
Castelbuono, in provincia di Palermo, per la ventitreesima volta diviene il luogo deputato ad accogliere uno dei Festival più apprezzati d’Europa. Non è necessario nessuno strardinario ricorso ad effetti speciali: l’artwork affidato all’artista sudcoreana Adehla Lee richiama in sintesi ciò che serve: un vecchio castello, un piatto di tradizioni e usi locali, un contorno di cannoli e una buona lineup.
La formula intende ampliare la sfera di fruizione musicale e toccare livelli eterogenei d’esperienza; quattro giorni fuori dal tempo in cui ritrovare qualcosa di noi che cercavamo e abbiamo perduto. Quattro anche le diverse location: il palco principale, montato a piazza Castello, è vertice di un itinerario che collega l’Ex Chiesa del Crocefisso (Mr. Y Stage) al Chiostro di San Francesco (Ypsi & Love Stage) proseguendo fino all’area attrezzata disposta sotto le stelle (Cuzzocrea Stage).
È quì, a San Focà nel Parco delle Madonie, a venire ospitato, giovedì 8 agosto, il Welcome Party. Raggiungo, attraversate le strade di montagna che costeggiano il borgo, la sede dell’Ypsicamping. I’m not a Blonde, un duo di ragazze di Milano, hanno già iniziato a suonare: chitarra e strumentazione elettronica declinate in versione new wave prendono le distanze dalla dimensione più cupa del genere per affidarsi a una mistura di melodie orecchiabili. Subito dopo l’aria frizzante che avvolge gli alberi accoglie le atmosfere tropicali di Canarie. Andrea Puccini e Paola Mirabella nel presentare l’album di debutto “Tristi Tropici” dispongono una serie di brani riflessivi e malinconici che indugiano sul cantautorato pop di Colapesce. “Summer on a solitary beach” interviene a conclusione in omaggio a Battiato. Il pubblico è protagonista di questo inizio di Festival: durante il dj Set di Shirt VS T-Shirt il palco viene letteralmente invaso da un gruppo di ragazzi che ballerà fino alle prime luci dell’alba.
Ma è venerdì 9 agosto che si aprono ufficialmente le porte del Festival. La grande scritta che sovrasta l’arco all’ingresso del castello vede passare un pubblico numeroso, arrivato per l’esclusiva data italiana dei The National. La sera il palco principale dell’Ypsi Once Stage viene calcato da Dope Saint Jude. Una carica di hip hop femminile che arriva dal Sud Africa. La cantante dialoga con il pubblico decantando le bellezze del posto, della natura e del cibo e afferma di provenire da una zona povera del continente. Al finanziamento delle scuole del paese sono destinati anche i proventi della vendita di alcuni gadget. Risulta invece meno incisiva l’esibizione di Let’s eat grandma. Se certi brani colpiscono nel segno, nel complesso la band si mostra acerba e forse ancora alla ricerca di un sound originale. Grande attesa e sold out per l’headliner: droni e telecamere realizzano la diretta streaming del concerto dei The National trasmessa sulla pagina dell’Indipendent. Il pubblico cade estasiato in balia della voce di Matt Berninger ed esplode in simbiosi elettiva con le emozioni che nascono spontanee dall’ascolto dei brani in scaletta, molti dei quali tratti da “I am easy to find”. La band di Cincinnati alimenta il più possibile il legame con il pubblico: Matt scende dal palco e si perde tra la folla. Il concerto sarà indimenticabile, ma è soltanto la prima sera.
Raggiungo con calma Castelbuono nel pomeriggio di sabato 10 agosto. Il paese esprime vitalità e risuona di gioiose vibrazioni estive nell’aria afosa che si spinge verso il tramonto. Mi faccio guidare dagli ypsini e dalla gente del posto, che ormai quasi si confondono, fino all’Ex Chiesa del Crocefisso. Il caldo all’interno è penetrante, Alberto Fortis, perso in un gioco di riferimenti e omaggi ai suoi idoli personali, si spruzza addosso l’acqua di una bottiglietta per sconfiggere l’arsura. Quando alla fine esegue “La sedia di lillà” gli occhi di tutti sono lucidi. Una parentesi, quella di Fortis, che segnala uno snodo importante di questa edizione. Un festival inclusivo, non fermo sugli stereotipi di un genere, proteso a non oscurare il ventaglio delle emozioni personali, delle storie che ci portiamo dietro, ma che al tempo stesso evidenzia, come hanno scritto gli organizzatori sulla pagina Facebook “l’importanza di essere testimoni attuali, in grado di saper leggere e commentare il proprio tempo”. Questa sera è la volta dell’elettronica e dei suoni adatti a far ballare e divertire. Sul palco di piazza Castello esordisce per primo, accompagnato dalla band, Baloji, originario della repubblica democratica del Congo arrivato fino in Sicilia con sonorità che mescolano calypso e afrobeat e aggiungono talvolta qualche ritmica elettronica, come nel singolo “L’hiver indien”. Necessario il riferimento del rapper all’immigrazione e al dramma di un continente che si vede privato dei suoi migliori ingegni. Il risultato è un incrocio di contaminazioni e riferimenti culturali che travalicano le differenze geografiche. Di difficile definizione il ventaglio soul ed elettronico di WWWater che dedica alla piazza anche una canzone ispirata alla Sicilia e mantiene saldo il filone ritmico. Riportano in direzione di una più tradizionale forma indie rock i Giant Rooks, quasi un intermezzo, per poi cadere nel trascinante humus elettronico e visual di David August. Fresco di un album che racchiude citazioni tratte dal mondo classico e che si riappropria delle origini italiane, il musicista propone un’interessante combinazione di suoni riflessivi e danzerecci al tempo stesso, creando un impatto catalizzante tra la musica e le immagini misteriose che scorrono ipnotiche. La piazza si dissolve sulle note di “Amarsi un po”, omaggio a Battisti.
Di nuovo, l’11 agosto, glisso le esibizioni al chiostro e faccio in tempo a cogliere le note di /Handlogic, progetto experimetal pop nato a Firenze. I ragazzi sono sinceramente emozionati di suonare all’Ypsig. E sotto l’effetto delle sensazioni oniriche evocate dalla band, mi sposto in direzione di piazza Castello. La fila per assistere al concerto di Ólöf Arnalds è tanta che devo rinunciare all’impresa. Gusto una brioche a base di testa di turco e manna e prendo posto sulle scalinate per il viaggio finale verso la meta: l’ultima serata del Festival. Ancora la folla non è arrivata a riempire la piazza, quando inizia a suonare Pip Blom. La band giovanissima porta una carica di energia sbarazzina che si rifà alla tradizione del pop rumoroso e sgangherato dei Pavement e all’allegria contagiosa di gruppi d’oltreoceano come gli Apples in Stereo. Il contrasto con quanto accade dopo non potrebbe essere più netto: i colori virano sul nero e alle spiagge si sostituisce il gelido post punk dei Whispering Sons. Un genere che raramente ha trovato posto all’Ypsig, ma la prova viene superata: il pubblico apprezza le stranezze vocali di Fenne Kuppens e la sua dirompente presenza sul palco. Il live dei Fontaines D.C, atteso nell’unica data in Italia, è una conferma piacevole dopo il successo ottenuto dall’album di debutto “Dogrel”. Il gruppo di Dublino regge il palco e dimostra di essere una delle rivelazioni migliori del Festival. Se volessimo racchiudere in un momento solo la magia di questa esibizione dovremmo tenere a mente il concerto degli Spiritualized, promessi all’Ypsigrock otto anni fa, quando all’ultimo momento l’esibizione saltò e al loro posto suonarono i Pere Ubu. Un palco spoglio, nessuna acrobatica performance; Jason Pierce è seduto e tre cantanti di colore ci riportano a un’atmosfera gospel. Scritte in codice morse e immagini vorticose scorrono sullo schermo. Ogni canzone è un crescendo psichedelico che parte da una forma elementare e evolve in una sofisticata spirale rumorosa. Ogni canzone è una fitta al cuore. Un silenzio quasi mistico avvolge il live che termina, inaspettatamente, sulle note di “Oh happy Day”, con le quali anche quest’anno salutiamo Castelbuono.
È tanto lo struggimento che ci porta ad aspettare il prossimo anno, a sperare di rivedere visi conosciuti e altri ancora da incontrare, a fare pronostici e ad attendere di calarci di nuovo in un’altra realtà. Una realtà felice in cui scoprire anche qualcosa di sé, come dicevamo all’inizio, e del nostro modo di relazionarci agli altri e abbanonarci alla bellezza, lontani dalle occupazioni quotidiane. Che è poi l’essenza di un festival.
(Eulalia Cambria)