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Nato a Londra nel 1938, Terence Patrick O’Neill è stato testimone dell’effervescenza culturale e sociale della più vivace, pionieristica, avanguardista città in anni memorabili, ovvero la “Swinging London” della fine degli anni ’50 e fino a circa la metà degli anni ’70 che – dice lo stesso fotografo – “ho potuto vivere e documentare in presa diretta”.
Iniziò quindi all’età di 22 anni, dopo il lavoro in un ufficio fotografico per una compagnia aerea all’aeroporto di Londra Heathrow, e una fortunata foto di Rab Butler, l’allora Ministro degli Interni della Gran Bretagna svelato addormentato nella sala d’attesa passeggeri, e pubblicazioni sul “The Daily Sketch” nel 1959 e alcuni scatti a Laurence Olivier, a collabore come giovane freelance per “Vogue”, “Paris Match” “Rolling Stone”.
Fu accanto a grandissimi fotografi come David Bailey, Terence Donovan e Patrick Lichfield, che gli insegnarono i trucchi del mestiere e gli passarono qualche indirizzo cool in agenda.
Egli si impose presto per ritratti iconici che testimoniavano il presente o oggi raccontano quell’epoca attraverso i volti dei miti del cinema, della musica, della moda, della politica e dello sport: Frank Sinatra, di cui è stato fotografo personale per 30 anni, Elvis Presley, Marlene Dietrich, Judy Garland, Audrey Hepburn, Liz Taylor, Raquel Welch, Clint Eastwood, Paul Newman, Tony Curtis, Robert Mitchum, Groucho Marx, Ava Gardner, Lee Marvin, Steve McQueen, Brigitte Bardot; e Faye Dunaway, da Oscar, che fu sua fidanzata e poi moglie dal 1983 fino al 1986 e dalla quale ebbe un figlio, Liam Dunaway O’Neill.
Ai Beatles scattò la prima foto; negli Abbey Road Studios a Londra, nel 1963, mentre stavano registrando il loro primo album Please Please Me, O’Neill c’era. Fotografò anche i Rolling Stones, dei quali uscì il 17 aprile 1964 il primo epico album; e non mancò né David Bowie né Elton John che anche attraverso i suoi scatti divennero miti dell’olimpo musicale e della scena creativa di quel periodo di grandi esordi.
I suoi soggetti sono fermati in contesti non consueti e spesso indagati nel loro aspetto più innocente, talvolta anche tenero: persino la Margaret Thatcher appare più naturale, nelle sue foto, così come la Regina inglese, appena meno monumentale mentre Mandela è davvero uno di noi, come Muhammed Ali, che ci rende orgogliosi della sua coerenza e delle sue battaglie civili grazie alle quali gli perdoniamo la guascona esuberanza; e Bruce “The Boss” Springsteen è lì, e pare tu possa incontrarlo come se nulla fosse, durante una passeggiata per Sunset Strip a Los Angeles nel 1975, come puoi incrociare chissà dove Bono Vox o Amy Winehouse tutta candore: lei, una ragazzina di talento musicale enorme, vista oltre le debolezze e gli eccessi sotto il cui peso soccomberà prematuramente.
Circa cinquant’anni di onorata carriera, quella di O’Neill, che ci avvicina a miti lontani e stars un po’ meno distanti facendo luce su un materiale straordinario che racconta di icone e allure del nostro tempo, quando questo tempo ne produceva di luccicanti davvero; e durature…
La mostra Ritratti fotografici di Terry O’Neill è stata al Magazzino delle Idee di Trieste e Bologna a Palazzo Albergati, dove il glamour dei protagonisti effigiati è imponente ma non è mai disgiunto da quel barlume di intimismo che ne rivela la sponda più umana e fragile.
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