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C’è una cosa che ha sempre caratterizzato la carriera di Charli XCX: l’assenza di compromessi.
Soprattutto dopo la pubblicazione di “Vroom Vroom EP” e “Pop 2”, è venuto a crearsi questo dualismo tra l’anima pop mainstream e quella più quasi avant-garde, l’anello di congiunzione tra Taylor Swift ed il collettivo PC Music.
Non è facile far convivere due anime così antistanti, a volte sembra non riuscirci nemmeno Charli stessa.
In questo disco ad esempio è presente una rielaborazione di un “Track 10”, del già citato “Pop 2”, ora diventato “Blame It On Your Love” con featuring di Lizzo ed l’aggiunta di un drop che dona al pezzo una strana vibe EDM, che smorza tutta l’incisività del pezzo originale, una gemma fin troppo sottovalutata.
Al contrario, nonostante funzioni molto bene come singolo (e grandiosamente come video), “1999” non sembra incastrarsi perfettamente col mood del resto dell’album.
Si tratta, tuttavia, delle uniche cose non propriamente a fuoco, perché il resto del disco funziona parecchio e conferma Charli nel ruolo di popstar meno convenzionale.
Emerge un lato diverso della sua scrittura, non più edonista a tutti i costi, ma molto più introspettiva, ansiosa e inadatta, contribuendo a rendere il disco tanto umano ed intimista nella scrittura, quanto artificioso e robotico nella confezione. In diversi punti la voci son talmente processate da suonare come dei veri e propri synth,
Non mancano i banger e i beat violenti e sferraglianti che tanto caratterizzavano gli ultimi lavoro, ma è un disco che si permette di rallentare più spesso, grazie a delle strane mecha-ballad.
Il pezzo più riuscito del disco, “Gone”, con Christine and the Queens, pur essendo irresistibilmente catchy, è un vero e proprio inno rabbioso, perfino depresso, all’inadeguatezza. All’apice della traccia, lei ed Heloise esplodono in una vera e propria catarsi.
Diventerà -forse è già diventato- un pezzo di riferimento per la comunità LGBTQ+, ma è probabilmente molto più di quello: è la canzone su una generazione che, perennemente, si sente non all’altezza.
Un altro highlight del disco è sicuramente “Click”, che cammina in equilibrio su una linea tra Sophie e Brockhampton, fino a precipitare in una chiusura praticamente noise-tech.
In definitiva “Charli” è sicuramente il disco più ragionato della carriera di Charlotte Aitchison, anche se probabilmente non raggiunge l’esplosività di “Pop 2”, ma ha il merito di mostrarci una sfaccettatura diversa, sonora e non, della natìa di Cambridge.
Ci son featuring più riusciti di altri, anche perché non tutte le voci impattano come quella di Sky Ferreira, ma nessuno è invadente e mina il focus dell’album. Il risultato è un universo di future-pop prevalentemente di matrice femminile/queer, con la nostra a fare da centro di gravità attorno a cui ruotano tutti i vari ospiti, siano essi di estrazione rock (Haim) o club (Yaeji).
La scrupolosa produzione di A.G. Cook, quasi onnipresente sul disco, non ha perso assolutamente di smalto, e la sinergia con Charli continua a regalare picchi di euforia sconosciuti a gran parte degli artisti contemporanei, mainstream e non.
80/100
(Carmine D’Amico)