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Sir Adam Bainbridge ritorna con il terzo capitolo. Il primo (prodotto da Philippe Zdar nel 2012) ci aveva seriamente entusiasmati, il secondo parzialmente delusi. “Otherness” (2014) era infatti parso un elegante esercizio di stile dal moderato impatto emotivo: gran bei suoni gonfi e torpore. Buono ma ispirato il giusto, ecco.
“Something Like A War” rimette un po’ di cose a posto. Nel senso che riallarga la gamma espressiva di Kindness reintroducendo una spinta propulsiva modern disco in un impianto ben riconoscibile. Un po’ quel che forse è avvenuto nella vita di Bainbridge, dopo un qualcosa di simile a uno stand by. Che poi, stand by per modo di dire! Quando uno ne fa cento (produce, fa il dj, fa radio, fa la regia di videoclip anche altrui…), al primo tocco di freno sembra fermo per contrasto.
Le canzoni del nuovo lavoro hanno questa struttura a salire fatta di samples, fiati, archi (quando servono) e il basso che monta. Con “gentilezza”, sì, perché la partenza è sempre morbida. Quando va particolarmente bene viene in mente anche Arthur Russell. Ogni tanto, poi, c’è un alone da Hercules & Love Affair, per dire quanto la materia in generale ci piaccia. Forse il momento culminante è “Softness As A Weapon”, pienamente a fuoco con l’immagine che vuol suggerire. Ma dall’intro “Sibambaneni” fino almeno a metà disco non c’è un calo che sia uno.
Come ricordato tante volte, Kindness fa parte dello stesso mondo che connette i nomi di Blood Orange, Solange, Caroline Polacheck, Sampha e svariati altri. E questo vale sia in termini di assonanze che nella fattispecie di una fisica e concreta collaborazione. A volte gli schemi di Bainbridge e quelli di Devonté Hynes possono quasi apparire sovrapponibili ma c’è qualcosa che, vivaddio ne definisce il confine. La vera cifra del pop sofisticato di Kindness è proprio quell’aroma semi-house. Ed è lì che un disco come “Something Like A War” poggia tutti e due i piedi. Invece, dalle parti di Blood Orange, la parte connotante è l’intensità con cui il tratto vocale si associa a quel tipo di scrittura soul moderna e intimista.
Il microfono, per l’appunto, in “Something Like A War” è condiviso con una cospicua manciata di ospiti: ancora Robyn, Jazmine Sullivan, Cosima, Seinabo Sey. A livello di suoni la carta vincente del primo album “World, You Need A Change Of Mind” era probabilmente l’alchimia da “strana coppia” che Bainbridge aveva messo su con l’indimenticato Philippe Zdar. Zdar che anche in “Something Like A War” ha potuto posare le mani curandone il missaggio.
Va dato atto a Kindness di sapere sempre sterzare prima che tutta quell’eleganza, in apparenza polleggiata, possa prendere la strada dell’aperitivo. In realtà, alla sua maniera, alza il tiro e la voce (“Raise Up”, “Cry Everything”). E poi c’è questa voglia di “suonato” che viene spesso a galla con l’intenzione dichiarata di portare questo materiale in giro dal vivo. Valorizzando magari qualche spigolo che la produzione levigata ha ingentilito anche un po’ troppo.
75/100
(Marco Bachini)