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ella disperata ricerca di un’apertura nella filigrana della realtà mi sono imbattuto nei padrini della dark ambient Schloss Tegal, in particolare in questa loro release del 99′. Sono stati un’ottima colonna sonora per sviscerare le riflessioni che mi albergavano dentro, ronzando da una parte all’altra del cranio: “Perchè squarciare il velo, protrarre la mente al di fuori di sè, divenire spettri?”.
E’ come un bisogno imperativo in questo periodo storico in cui ogni speranza per la continuità del genere umano sembra sgretolarsi. Le nuove generazioni che avrebbero dovuto costruire il futuro se lo ritrovano sottratto da chi, prima di loro, ha vissuto divorando il mondo, rivendicandone la paternità e l’assoluto controllo.
Vi è come un forte sollievo nel percepire una realtà fra le realtà, qualcosa di profondamente non umano, subliminale e alieno ai nostri sensi; non è tanto dissimile dalle fantasticherie di un bambino in completa immersione nell’universo Tolkeniano, o perlomeno si avvicina quanto più a quello stesso sublime dato dato dall’alienazione.
Immergersi in “Black Static Transmission” è come gettarsi in un cangiante universo oscuro, un ulteriore spazio fantastico molto meno epico ma ben più extraterrestre e buio di quello sognante che di solito si ricerca per assimilare sensazioni sublimatiche, costruzioni umane si degradano e lasciano spazio a campi grigi e sterminati, nuvole nere e spesse fanno da coperchio mentre nell’aria compaiono reperti sonori di ciò che l’uomo ha perso dietro di sè, una storia multimediale morta e riesumata, senza alcun lascito; una perfetta fotografia del mondo senza di noi immaginato dal filosofo Eugene Thacker, indifferente ed inesorabile al punto da farci rabbrividire.
(Duccio Pisoni)