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Sebbene Jeff Tweedy e compagni, ad esclusione infatti di Jay Farrar tutti gli altri componenti del gruppo (il batterista Ken Coomer, il bassista John Stirratt e Max Johnston) lo seguirono in questa nuova band con la new-entry tra l’altro di un uomo chiave come Jay Bennett, venissero da un’esperienza che aveva avuto un buon riscontro come quella de gli Uncle Tupelo, penso che nessuno all’uscita di “A.M.” avrebbe mai potuto pronosticare che stesse cominciando proprio con quel disco una delle pagine più importanti della musica americana da lì fino al giorno d’oggi.
Perché oggi i Wilco sono uno dei gruppi “alternative” più popolari negli Stati Uniti d’America e in tutto il mondo occidentale e la scrittura sensibile di Jeff Tweedy, autore infaticabile e costante nel suo lavoro e processo artistico, è quella che si può definire come “generazionale” oppure “trans-generazionale”, nel senso che a parte avere accompagnato la sua crescita individuale e quella del gruppo alla crescita dei suoi ascoltatori storici, ne ha fidelizzato e continua a fidelizzarne tanti altri. Certo il paragone con Bob Dylan, azzardato da molti, è assolutamente fuori luogo, peraltro devo ammettere di non essere un grandissimo estimatore dei Wilco, eppure il valore della produzione discografica del gruppo e della scrittura di Jeff Tweedy, sono il risultato di una cultura pop che è chiaramente intellettuale e frutto di una cultura più ampia, quindi della capacità di tradurre tutto questo in musica.
Chi lo avrebbe detto comunque perché in questo disco, certo, ci troviamo già davanti alla sensibilità pop tipicamente Wilco con pezzi come “I Must Be High”, “Casino Queen”, “Box Full Of Letters”, “Should’ve Been In Love”, “Passenger Side”, ma il resto guarda ancora a un suono più “provinciale” e legato al retroterra americano più tradizionale. È un disco pop-rock sui generis ma mostra già una buona personalità. Sarà poi fondamentale il ruolo centrale assunto dal Jay Bennett dopo l’uscita di Max Johnston, nella svolta del suono Wilco, che si libererà di “scorie” troppo marcate del background Uncle Tupelo, così come la crescita della scrittura di Jeff Tweedy che apriranno a altri orizzonti più ampi.
65/100
(Emiliano D’Aniello)