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Spesso viaggio in Irlanda per lavoro e la cosa che più mi incuriosisce è osservare le differenze tra la working-class anglosassone e quella italica. Siamo nella merda entrambi, è chiaro, ma l’approccio all’esteriorizzazione dei sentimenti è alquanto differente. Lo si percepisce in qualsiasi gesto quotidiano, nel comune vivere ma soprattutto nell’arte. La musica, come tale, è cartina tornasole di una insoddisfazione generale; se in Italia il bagaglio dei “cantautori Impegnati” è stato via via sostituito da un approccio frivolo e senza coscienza comune, in Irlanda il rumore (non necessariamente fatto con strumenti tradizionali) sembra un’ottima alternativa a tutto questo schifo. Insomma, tutti arrabbiati e frustrati ma qui ci ribelliamo sculettando con le hit estive di Giusy Ferreri mentre in UK gli Idles schiumano rabbia cantando “My blood brother is an immigrant, a beautiful immigrant, my blood brother’s Freddie Mercury, a Nigerian mother of three, he’s made of bones, he’s made of blood, he’s made of flesh, he’s made of love, he’s made of you, he’s made of me, Unity” e gli Irlandesi Girl Band rispondono con un secondo disco se vogliamo ancora più claustrofobico dell’esordio di quattro anni fa “Holding Hands With Jamie”.
“The Talkies”, edito nuovamente da Rough Trade, è più che un disco, uno stato mentale; un delirante ma lucido tentativo di scappare dalle nostre paure, che spesso abitano la nostra psiche. Sicuramente Dara Kiely, voce del quartetto dublinese, è il maggior responsabile del climax asfissiante che si respira in questo disco; urla, spasmi, affannati respiri e la stessa paura che ha l’animale quando viene messo all’angolo. La musica che accompagna i deliri del frontman oscilla tra industrial, noise e dance dalle viscere della terra, assecondando rabbia, frustrazione; le poche oasi di pace “ambient” (la nenia che quieta l’assalto post-punk di “Laggard”) sono solo un fisiologico respiro, la boccata d’aria che serve per non soffocare, il tentativo di distogliere lo sguardo verso la fine imminente del mondo.
Incredibilmente coeso, tagliente, diretto, difficile da digerire eppure affascinate come tutte le cose che parlano di vita vera, il secondo disco dei Girl Band è il manifesto dell’insofferenza di una generazione che vuole scappare e allo stesso tempo reagire, senza avere idea di come fare.
Siamo davvero alle strette e i quattro killer sonori ce lo sbattono in faccia, non suonando per mostrarci qualcosa ma dandoci direttive su come dovremmo comportarci.
80/100
(Nicola Guerra)