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L’ossessione di Klein è sempre stata quella di proporre musica sotto forma di storytelling puro. Non ha mai fatto mistero di non essere interessata a produrre canzoni dalla struttura canonica, quanto di fare in modo che ogni singolo passaggio di un disco assomigli ad un capitolo di un racconto più ampio.
Con “Lifetime” questa sua idea si concretizza al massimo: ci troviamo davanti ad un disco che trasforma l’ascoltatore in spettatore, trasmettendogli un vero e proprio immaginario attraverso le suggestioni veicolate dalle composizioni. La ripetitività è una delle caratteristiche principali, sia nei punti più ritmati, quasi club-oriented, come l’ossessiva “Claim It” che nei passaggi più ambient, dove le melodie offrono ben poche variazioni.
La sensazione è di essere davanti ad un disco spettrale proprio nel senso di ectoplasmatico e non, per una volta, con riferimenti hauntologici. Un disco che ci dà l’illusione di essere presenti in una stanza dove due persone stanno dialogando, dei bambini festeggiando, ma nessuno può vederci.
La monotonia ostinata dei pad è disturbata da ticchettii, dal rumore del fuoco che schioppetta, in alcuni tratti perfino virtuose batterie jazzy (“Silent”).
Un continuo dualismo accompagna l’album, sia esso nell’opporre delicatissime e minimali melodie di piano con interferenze cacofoniche, oppure l’utilizzare in armonia strumentazioni molto classiche ed analogiche assieme ad altri suoni ed effetti estremamente digitali e provenienti da una diversissima tavolozza sonora.
Il risultato è un lavoro per nulla facile da approcciare, sicuramente privo di compromessi e che probabilmente non darà soddisfazione al fruitore alla ricerca di qualcosa da poter ascoltare passivamente. È un disco che richiede attenzione, quasi dedizione, perché concepito come un’opera spirituale. Non a caso spicca la collaborazione della sempre eccezionale Matana Roberts.
La gratificazione che sa regalare si mischia con lo smarrimento finale, dovuto anche al trovarsi improvvisamente ad ascoltare cinguettii di uccellini, come se finalmente si fosse raggiunta una destinazione incantata, al termine di un viaggio fatto di oscurità e demoni, a rimarcare il dualismo ed il conflitto che accompagna tutto il disco. Del resto non c’è niente che caratterizza la vita stessa (e quindi il “Lifetime” di ognuno) come i contrasti e le divergenze.
73/100
(Carmine D’Amico)