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Stephen Malkmus, Santeria Toscana 31, Milano, 27 settembre 2019
Il copione richiederebbe di introdurre il live report di un artista come Stephen Malkmus con un amarcord che ripercorra la gloriosa carriera di uno dei giganti dell’indie. Ma forse ha più senso iniziare dalla sorpresa di trovare una delle migliori venue di Milano, la Santeria di Viale Toscana, vuota per metà la sera del concerto.
Durante l’ottima apertura di Martin Frawley, ex Twerps, i presenti in sala sono ancora meno, tanto da far supporre che non sia chiaro a molti che di lì a poco salirà sul palco l’ex cantante dei Pavement.
O forse è la scena musicale meneghina a non essere più un “paese per vecchi”. E i vecchi siamo noi, quelli che preferiscono andare a sentire il buon Stephen mentre a un chilometro scarso di distanza suonano Floating Points e Ben Ufo in una delle scintillanti mecche artistiche della Milano che cambia.
Alla fine un po’ di nostalgia in questo cappello ci è finita lo stesso, ma la ragione non è anagrafica, quanto piuttosto quella sensazione amarognola che il nostro qui ed ora sia diverso dal loro, unito alla realizzazione orgogliosa, ma non per questo meno seccante, che noi siamo ancora conviti di essere dalla parte giusta. Musicalmente parlando, s’intende.
Di tutto questo rimuginare se ne frega allegramente Stephen Malkmus, altrimenti non avrebbe allestito un one man tour (ad accompagnarlo solo la sua amata chitarra e qualche effetto) per pubblicizzare il suo primo disco di quasi-elettronica, chiaramente un’opera minore, uscita a pochi mesi di distanza da uno dei suoi migliori lavori pubblicati con i fidi The Jicks.
Il concerto dura un’ora e mezza, dando a Stephen la possibilità di passare con disinvoltura dalle azzardate cacofonie dell’ultimo “Groove Denied” (le non centratissime “Belziger Faceplant” e “Forget Your Place”, su tutte) ad alcuni dei suoi capolavori dell’epoca Pavement. Se “Spit on a Stranger” non lesina i lacrimoni, anche se difetta giocoforza di mordente senza band a supporto, “Frontwards (già nella top7 dei migliori brani della band per Kalproz) è pura estasi perfino nella sua asciutta versione voce-chitarra.
Non si può negare alla nostra dinoccolata leggenda dell’indie l’enorme pregio di non prendersi mai sul serio, mostrando come il puro cazzeggio, musicale e attitudinale, conservi una sincerità più unica che rara in tempi di grandi maschere come questi. Cazzeggio che non va in nessun modo confuso con scarsa perizia: Stephen è perfetto nella sua imperfezione, la sua chitarra taglia e accende come se fosse ancora lo strumento più importante del mondo, mentre la voce singhiozzante e acuta è ancora capace di toccare le corde della commozione.
Commozione, già. Stephen era un grande amico del compianto David Berman, che se ne è andato quest’estate, e ce lo ricorda interpretando due grandi brani dei Silver Jews, risalenti agli anni in cui lo stesso Stephen militava part-time nella band. “The Wild Kindness” e “Train Across The Sea” non vengono introdotti né spiegati, sono lì nel set di Stephen, da ascoltare e basta.
La chiusura è affidata a un altro pezzo storico dei Pavement, la cavalcata “Fight Your Generation”, perché, come dice Stephen, “You gotta fight…uhm…yourself”.
(Stefano Solaro)
foto Instagram Federico Piseri