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Club To Club 2019, Torino, 30 ottobre – 2 novembre
Quando Club To Club ha rivelato il tema della sua diciannovesima edizione non ho pensato nemmeno per un minuto alla ricerca di una continuità diretta con la scorsa edizione. Non si tratta di semplice passione per le serie antologiche rispetto a quelle che si trascinano con colpi di scena tra infinite season che cercano affannosamente di tirare a campare. Club To Club non tira a campare, ha una visione e un disegno molto chiaro che ormai sembra essersi allontanato dalla logica di un festival elettronico dove di club in club si va a ballare senza nemmeno guardare l’orologio cercando di raggiungere il proprio livello di esaltazione e armonia con l’ambiente circostante il prima possibile, e spendendo il meno possibile. Già da un paio di edizioni, anche prima della trovata della season 1, quando i bpm nelle ore centrali del secondo stage si sono progressivamente stemperati dando spazio ai live e alle performance, il concept è diventato più chiaro. Club To Club aspira a essere un festival europeo di avant-pop, che è un po’ l’evoluzione aperta, progressista e proiettata al futuro del festival indie di un decennio fa che si focalizzava su ritorni ed eterni ritorni di determinate sonorità del passato e se possibile su reunion. Niente di diverso da quanto accade nel resto d’Europa e nel mondo, niente di più diverso da un festival di mero clubbing. Ed è stata apprezzata non poco la partnership con il movimento No Brexit: Remain in the club, per non perdere di vista anche durante un festival certi temi.
Dopo una season 1 che si era chiusa con i fuochi d’artificio (altro che colpi di scena!) tra Aphex Twin e l’ospite a sorpresa per palati raffinati, Kode 9 (richiamato ancora una volta, sempre come ospite a sorpresa, in una sorta di tributo alla season 1 per un set tributo ai 15 anni della sua Hyperdub), era difficile avere un main character dello stesso peso e valore storico di AFX. Così si è scelto di assoldare il suo sodale visuale, Weirdcore, per creare un filo conduttore e costruire una connessione visiva tra le due stagioni. Il risultato è stellare nel set di tre ore di chi, già lo scorso anno, si era distinto come miglior act del weekend: Skee Mask, uno di quei nomi del cast che tutti sottovalutano e di cui tutti gli spettatori si innamorano senza conoscerne l’identità o il background. Il producer di Monaco, grazie a un set che non bada a compromessi senza perdersi in momenti troppo cervellotici e ostici per gli avventori meno abituati a ritmiche così spezzate e UK, da personaggio idealmente secondario riesce nell’impresa di far ballare un’ampia platea italiana di migliaia di persone senza ricorrere al facile espediente della cassa dritta. Lo stesso riescono a fare con qualche esperto espediente in più da big room anche Floating Points, il giorno dopo sullo stesso stage, e Sophie, straripante e dirompente nella sua chiusura del sabato al Crack Stage che per l’eccezionale light design, quest’anno tutto sembra fuorché un palco due. Tanto che qualcuno all’ingresso è disorientato non riuscendo a individuare il main stage tra i due spazi.
Il kenyota Slikback, restando in ambito clubbing, è una delle prove viventi del policentrismo delle avanguardie elettroniche. Senza barriere geografiche Kampala oggi vale quanto Berlino e Club To Club riesce a intercettare, pur nell’esigenza di dover accontentare una platea di migliaia di persone, questa tendenza contemporanea. Non c’è soluzione di continuità, dalla Napoli goliardica e frizzante dei Nu Guinea alla Marrakesh di Issam passando per la Palestina di Sama’ alla Londra di Romy degli XX (che si è esibita con la maglia fashion Adidas Palace della Juventus donatagli qualche minuto prima backstage da Dybala in persona) e del criptico duo dei RAP, un altro nome secondario che ha regalato una coraggiosa e oscura oretta di post-punk dalle fredde suggestioni industriali, raggelando e annichilendo il pubblico del Crack Stage.
Da qualche stagione a questa parte di Club to Club le performance live, per usare un termine caro al linguaggio delle serie tv, sono sempre meno “filler” e sempre più centrali nelle storyline: la straordinaria Holly Herndon ci porta virtualmente in un 2049 post-umano, Kelsey Lu destruttura e stilizza come una nuova risposta soul americana a FKA twigs l’avant-pop nero con una performance ammaliante, ipnotica che lascia a bocca aperta anche i più ignari avventori. Tra i protagonisti ricorrenti, chiamiamoli così, non delude la vecchia guardia. I Battles sono pericolosamente sfidati per freschezza e impatto dagli eredi generazione Z del genere, i britannici Black Midi.
Gli attesissimi ospiti della stagione, i Chromatics, sono l’unico momento insieme al prologo dei Desire (side project di Johnny Jewel e Nat Walker), retromaniac da flashback anni Ottanta, cosa che nelle serie riesce sempre a emozionare. James Blake si reinventa il giusto per restare se stesso anche dopo un album in cui per la prima volta ha lasciato spazio a co-protagonisti, dal vivo semplicemente campionati e inseriti come delle voci fuori campo. Flume, che ci trascina in uno sbriluccicante festival EDM con cannoni sparafumo, è l’unico momento dove gli effetti speciali prevalgono sulla sostanza del plot, ma tanti giovanissimi, soprattutto stranieri, in una platea di suo molto internazionale, apprezzano non poco.
Cosa succederà ora?
Ci sarà chi già si aspetta la terza stagione anche se la serie ispirata alla citazione di Battiato dovrebbe chiudersi qui, chi rimpiangerà la prima e chi si aspetta una ventesima edizione auto-celebrativa in grande stile. Nel frattempo possiamo dire che questa seconda stagione de La luce al buio di Club to Club non ha deluso le attese, è stato un regalo, coerente e sincero, per gli appassionati di musica contemporanea che non possono che ringraziare di avere anche in Italia un festival europeo di livello internazionale.
Guarda qui tutte le foto del weekend nel racconto fotografico di Alice Blandini