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La cover e la relativa animazione del nuovo singolo di Aquarama , “Lucky One”, fuori dal 8 di novembre su tutti gli store digitali per Fresh Yo!, Sand Music, Popup Records, trae la propria ispirazione da una storia tanto vera quanto assurda, dove la realtà supera l’immaginazione. D’altro canto, ogni storia legata al misterioso homo amoenus protagonista della canzone è, per la natura unica del personaggio, tanto paradossale quanto incredibile.
Certo ricercare dei tesori “nascosti” all’interno di una piscina, equipaggiati con uno scafandro da palombaro, sembra un gesto folle, eccentrico o del tutto privo di senso ma, come spesso accade, al di là delle apparenze si apre lo spazio magico dei simboli e delle metafore dove ogni narrazione diventa un ponte verso un altro mondo.
Quella del palombaro che scende dentro la piscina è altresì una ricerca interiore che, a corsi e ricorsi, occupa gran parte dell’arco di una vita umana e porta spesso non più lontano del punto di partenza, nel caso si venga inghiottiti dallo stesso scopo per cui si era partiti. Ma è tuttavia vero che, per quanto possa essere ripetitiva ed inconcludente la ricerca, la forza che ci spinge ad andare a fondo diventa inesorabile ed incessante una volta aperto il vaso di Pandora.
La storia vera dell’animazione ricorda a questo punto un affascinante racconto di finzione, più precisamente una pulp fiction, pubblicata sulla rivista “Weird Tales” nel settembre del 1925 intitolata “The Temple” che porta la firma di un grande autore americano: H.P. Lovecraft. Il racconto è narrato come un “manoscritto ritrovato” scritto dal protagonista stesso: il conte Karl Heinrich Von Altberg-Ehrenstein, ufficiale comandante del sottomarino tedesco U-29. Al tempo della prima guerra mondiale, a seguito ad un’avaria del sottomarino in cui viaggia, forse causata da un inspiegabile ritrovamento di un misterioso oggetto, il protagonista si trova sul fondo dell’oceano dove l’unica cosa che gli resta da fare è munirsi di scafandro ed esplorare un tempio sommerso dal quale proviene un’inspiegabile luce.
Allo stesso modo il racconto di Lovecraft fu trovato da Guglielmo, autore della cover del singolo, dopo un concerto a Scauri durante una notte insonne.
Purtroppo al tempo dell’uscita del racconto sulla rivista, la fama di Lovecraft non era tale da garantirgli la copertina illustrata ma, per fortuna, il mondo delle riviste pulp è una fucina di storie del mistero bizzarre dove le profondità dell’oceano, al tempo quasi del tutto inesplorate, suscitavano grande interesse e meraviglia.
Per chi non conoscesse i magazines in questione facciamo un passo indietro: i cosiddetti pulps traggono il proprio nome dalla carta di bassa qualità, ricavata dalla polpa dell’albero, sulla quale erano stampate. Tra i nomi più noti si ricordano: Argosy (la prima 1896), Adventure, The Blue Book, Short Stories, a cui ci si riferisce come “The Big Four”, ma anche le longeve Amazing Stories, Planet Stories, Weird Tales ed ancora la più tardiva Astounding Stories of Super Science. Il loro picco di popolarità è stato tra gli anni ‘20 e gli anni ‘30 del secolo scorso ma la loro eredità culturale è perdurata influenzando tutto il cinema horror-fantascientifico degli anni ‘50 fino alla glorificazione negli anni ‘90 con “Pulp Fiction” di Tarantino, il cui manifesto è una chiara citazione.
Nonostante l’indiscussa qualità degli autori dei racconti, tra cui figurano nomi oggi ben noti come Isaac Asimov, Ray Bradbury, Robert Albert Bloch (Psycho), Edgar Rice Burroughs (Tarzan), Philip K. Dick, Frank Herbert (Dune), R.E Howard (Conan il Barbaro), L.R. Hubbard (sì proprio lui, quello di Scientology), il già citato H.P. Lovecraft, Jules Verne, Edgar Allan Poe, il genio della fantascienza H.G. Wells, i pulp magazines erano considerati dalla letteratura alta delle pubblicazioni di serie B sia per i generi trattati, poliziesco, fantascientifico, fantasy, western, horror, guerra, spionistico, noir, ma anche, o forse soprattutto, per le scandalose copertine che spaziavano dall’erotico al raccapricciante tramite illustrazioni mediocri.
Belle o brutte che siano, le copertine, come del resto le storie, individuano un’estetica ben precisa e coerente e hanno sicuramente influenzato generazioni intere di giovani lettori e futuri scrittori, portandoli in mondi nuovi ed inesplorabili e così plasmando, nel bene e nel male, il presente in cui tutti noi viviamo. Questo brodo primordiale della fantascienza moderna ha indubbiamente creato un’incredibile capacità immaginativa capace di spingere con la forza della fantasia il passato verso il futuro. Senza il bisogno delle competenze tecnico-scientifiche siamo volati in cielo su dei palloni aerostatici, abbiamo visitato le profondità oscure dell’oceano, siamo sbarcati sulla Luna e circumnavigato ogni stella del cosmo ed in più, abbiamo creato il cyberspazio, l’intelligenza artificiale e pure un mondo schiacciato dalla sorveglianza incessante delle corporation che scrutano ed analizzano i nostri dati per venderci prodotti studiati e customizzati appositamente per noi.
Insomma eravamo partiti dicendo che, nella storia di “Lucky One”, la realtà supera l’immaginazione e, visto alla luce dei racconti pulp, il tempo in cui viviamo ne è la dimostrazione pratica. Ma in una società tecnocratica nella quale nessuno ha mai chiesto di essere loggato, si deve cercare di non dimenticare che sono la fantasia e l’immaginazione che permettono il progresso verso un futuro nuovo ed anche che nel passato, se si sa dove guardare, esistono già i germi del tempo che viviamo e le rappresentazioni di tutti i futuri possibili. Attenzione però: non tutti sono auspicabili.
Fanculo ai terrapiattisti
Morte al fascismo
(Guglielmo Torelli – Aquarama)