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C’era una volta una band che ci aveva fatto frizzare il cuore. Già il suo nome aveva a che fare con il muscolo cardiaco e le gioie e dolori annessi. Si sta parlando ovviamente dei Pains Of Being Pure at Heart, colloquialmente denominati “Pains”, e noi abbiamo sempre saputo che a essere puri di cuore c’è a volte da rimanerci quasi secchi. È una lotta. Combattimento che loro ora terminano (è notizia di lunedì che si sono sciolti) mentre noi invece vogliamo andare avanti.
Ma andiamo per ordine.
Il sottoscritto all’inizio si vantava di essere stato tra i primi in Italia ad averli veicolati (era il gennaio 2009) in quella sorta di contenitore-rubrica che era “Caspiterina!” (e ancor prima si chiamavano “Le news che dici ‘Caspiterina!’”), ma più che poca modestia era volontà di condividere la passione per il primo album di questa band che aveva portato in giro il nostro cuore (sempre lì siamo, ma tant’è…) in un momento in cui era sbandato. L’avevo definita “spensieratezza delle nuvole” , l’essere lieto nonostante tutto, il sorridere nonostante le pene amorose, e personalmente The Pains Of Being Pure at Heart arrivavano proprio in quella fase.
Li vidi più volte sotto la tettoia dell’Hana-Bi a Marina di Ravenna (ne avevamo anche scritto di questo loro trasporto per la nostra spiaggia romagnola) e questi live contribuirono al loro fascino di band senza tempo, o meglio con un tempo definito, quello dell’innamoramento.
Poi qualche anno dopo, nel 2012, un loro concerto lontano da casa fu la mia scusa per tornare a trovare una ragazza che poi diventò mia moglie, e per questo vorrò sempre loro bene, perché stuzzicarono il mio cuore quando era sperduto e gli trovarono una casa. Loro terminano, ma il nostro cuore va avanti, più colmo di amore che mai.
A Delia.
(Paolo Bardelli)