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“Reflections” di Hannah Diamond è senza dubbio uno dei dischi più attesi degli ultimi anni: a partire dal 2013, la vocalist e visual artist di stanza a Londra, grazie all’uscita di una serie di singoli spaccaclassifica come “Every Night”, “Attachment” e “Hi”, e a una campagna di marketing comunicativo ben incentrata sulla promozione della propria immagine, è riuscita in poco tempo a guadagnarsi la reputazione di punta di diamante del collettivo londinese di musica elettronica fondato dal guru e produttore A. G. Cook. Aldilà delle strategie comunicative messe in atto, “Reflections” ci consente di valutare per la prima volta musicalmente il fenomeno Hannah Diamond e di renderci conto che siamo davanti a qualcosa di mai ascoltato prima e che è difficilmente categorizzabile: Diamond strizza l’occhio al mondo ruotante intorno alla PC Music (si pensi all’electropop di Charlie XCX o alle atmosfere di ambient tribale di Caroline Polachek) ma allo stesso tempo ne prende le distanze, virando verso scenari trance-pop che sembrano rappresentare il suo habitat naturale.
La prima parte del disco è lontanamente intrisa di reminiscenze di elettronica degli anni 2000: fra la chiusura dilatata della title-track e l’inizio sincopato di “Invisible” pare di ritrovarsi negli abissi sonori di “Yesterday Was Dramatic – Today is OK” dei Múm o di “Looping State of Mind” di The Field. Il primo colpo di timone la Diamond lo piazza a metà di “Love Goes On”, canzonetta pop improvvisamente ingabbiata in un loop spiazzante da cui nasce la prima delle progressioni trance che caratterizzano la triade centrale composta da “Never Again”, “True” e “The Ending”. Il finale soffre invece di inconsistenza: canzoni come “Shy”, “Fade Away” e “Make Believe” hanno strutture sonore deboli e fondate su refrain che non incidono, e non è sufficiente aggiungere qualche elemento da colonna sonora di videogiochi per renderle interessanti.
Discorso a parte merita “Concrete Angel”: beat ed effetti elettronici generanti accelerazioni ritmiche e stasi, silenzi difettivi (finalmente!) alternati a pulsioni techno e loop lisergici, testo surrealista dovutamente adolescenziale (“Let me breath you in, and breath the words in your mouth / Inside your shivering, the silence shouts so loud”) e voce immersa in una neutralità glaciale da cui non traspare alcun sentimento. La cover della canzone trance di Gareth Emery e Cristina Novelli è senza dubbio uno dei momenti migliori del disco. La musica del futuro potrebbe assumere questa forma.
“Reflections” potrà deludere in parte le aspettative che gli gravitavano intorno ma resta un’opera d’arte che spiazza e lascia senza punti di riferimento: un luogo della musica contemporanea che va necessariamente attraversato.
68/100
(Emmanuel Di Tommaso)