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“My Place Is The One I Can’t Hold On To, Wherever I Am“ (“Places”)
L’alba del nuovo decennio vede il ritorno in grande stile di un nome apprezzatissimo dai curatori (e frequentatori) di queste pagine, ovvero Alberto Mariotti aka King of The Opera che con “Nowhere Blues” ci regala sette gioielli legati come in uno stream of consciousness dove il songwriting psichedelico dell’artista pistoiese assume un’identità digitale in bilico tra elettronica e post-rock. Se il concept è un tributo agli amati bluesmen afro-americani del primo dopoguerra che intitolavano i loro pezzi con il nome della città che li aveva ispirati, da “Sweet Home Chicago” a “Mississippi Delta Blues”, le atmosfere e le liriche del disco si spingono in posti ancora più lontani: in “Nowhere Blues” non troviamo città, ricordi e sentimenti limpidi, ma soltanto le impronte di un viaggiatore perso sul suolo lunare. “I Spill The Desert In The Sky/Visions Of Tomorrow Glow Through The Wires” declamano i versi di apertura di “Monsters In The Heart”, il biglietto da visita di un rinnovato King Of The Opera.
L’elettronica all’apparenza glaciale del brano si scioglie dal minuto 4:18 nei meravigliosi arpeggi chitarristici di scuola Bark Psychosis, tra i punti di riferimento del progetto con David Sylvian – nel cantato sublime di “Never Seen An Angel” – e i These New Puritans – con l’ipnotica e arty “Find Me” piena di cambi di direzione. Tra gli episodi più sperimentali la title track, venata di un blues-rock esistenziale di matrice caveiana, è guidata da una linea di basso che fondendosi ad un beat ossessivo si fa strada nel tappeto rumoristico di synth e chitarre; e “The Final Scene”, vera e propria suite di morbida trance-techno come se i Ninos du Brasil si ritrovassero a suonare all’Hacienda di Manchester o Washed Out cimentarsi in una cover dei New Order fine eighties, a voi la scelta.
L’r’n’b notturno di Fender Rhodes e organo Hammond della già citata “Never Seen An Angel” lo avvicina alle produzioni dell’ultimo Ghemon, pop futuristico e ballabile alla maniera di “I’m In Love”, una versione adulta del Samuel Katarro di “The Halfduck Mystery” in cui coesistono richiami esoterici, tocchi di banjo e weird sounds (“I’m In Love With Something That Makes Me Fall Apart“). Tutto il lavoro è comunque incentrato sulla volontà di prendersi dei rischi e spingersi oltre, in una prospettiva completamente diversa e ancora sconosciuta per King Of The Opera; ciò spiega la registrazione homemade curata da Alessio Gorgeri e la lunga gestazione (cinque mesi) di brani scritti da tempo e che ora troveranno il supporto nella dimensione live di un gruppo vero e proprio, completato da Andrea Carboni ai synth e programmazione e Elia Ciuffini alla batteria e percussioni.
Il capolavoro dell’album lo incontriamo a fine viaggio: “Places”, che si avvale della collaborazione dei fiorentini /Handlogic, è poesia che supera il livello vorticoso di una “Nothing Outstanding” delle Pangos Session e “GD” del 2012. Immaginate una melodia agrodolce degli American Football trattata con la ricerca del Thom E. Yorke solista. Nelle parole di Alberto, “Il testo è quello che meglio incarna lo spirito dell’intero lavoro e quel senso di meraviglioso disorientamento, non solo musicale, che è la principale fonte di ispirazione di “Nowhere Blues” . E noi lo ringraziamo per un’altra esperienza di ascolto unica, e non solo in territorio italiano.
86/100
(Matteo Maioli)