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Archy Marshall è tornato. “Man Alive!”, il nuovo album per Matador/True Panther Sounds sotto il moniker King Krule, ne conferma sia le indubbie qualità artistiche sia i vizi di forma emersi a nostro giudizio nel precedente “The Ooz”, per Pitchfork il miglior album rock del 2017. Nel frattempo il londinese classe ’94 si è sposato con la fotografa Charlotte Patmore – responsabile dei suoi ultimi video e del minifilm di lancio del disco, “Hey World” – e ha vissuto la nascita della prima figlia, evento che traspare in liriche più mature seppur taglienti, che raccontano una società al collasso dove regnano terrore, mancanza di dialogo e preoccupazione per il futuro.
I singoli pubblicati, “(Don’t Let The Dragon) Draag On” e “Alone, Omen 3” sono perfetto esempio del mood tenebroso che contraddistingue “Man Alive!”: la prima, un blues rallentato con filtro alla voce, è stata scritta nel buio della camera da letto, “about eternal illness or struggle” come spiegato nei versi iniziali, “I hang my head for those/Who ain’t been held too close/In times of pain“; la seconda gioca sul pattern ritmico di “Never Had A Dream” degli Ohio Players (da “Pain” del 1971 su Westbound, label dei Funkadelic) per diffondere incubi urbani carichi di elettricità, immaginandomi Tricky con i Swans a fare da backing band, “The ache and thunder in the storms of your mind/Soak it in, for the rain will pass in time/You’re the omen of paradise/You’re the ghost they put aside“.
Molto forti anche “Comet Face” e “Cellular”, brani ruvidi e up-tempo che affondano le loro radici nella new-wave storica (tra Suicide, Wire e Birthday Party) e in cui si nota l’essenziale contributo del DJ/producer Dilip Harris nonchè del sassofonista Ignacio Salvadores, elementi già preponderanti alla riuscita di “The Ooz”. Ecco, la differenza lampante che noto tra i due dischi è in una maggiore omogeneità, laddove “The Ooz” era un caleidoscopio che toccava mondi estremi quali garage-punk (in “Vidual”) e free jazz (in “Midnight 1”), qui il filo conduttore tra i brani si regge su un blues sotterraneo ma ultramoderno, che non manca di hook contagiosi come in “Stoned Again”, di sperimentazione chitarristica (“Perfecto Miserable”) o dell’eleganza da crooner di “Underclass”.
Li accomuna invece una lunga scaletta, con tanti riempitivi o bozze – l’ambientale “The Dream”, l’enigmatica “Theme for The Cross” per piano e fiati e la weirdness sita in un titolo come “Airport Antenatal Airplane” – che magari hanno un loro perchè, tengono King Krule lontano dal mainstream e in una dimensione obliqua e parallela. Lo attendono comunque da headliner i festival più importanti, a cominciare dal Primavera Sound di Barcellona (a oggi, incrociamo le dita).
“Man Alive!” resta un lavoro complesso e che necessita di numerosi ascolti, ma non per questo meno fascinoso dei suoi predecessori: il ragazzo crescerà ancora, ne siamo certi.
72/100
(Matteo Maioli)