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“Facciamo quello che vogliamo, prendere o lasciare. Preferisco essere povero piuttosto che piegarmi all’ufficio della casa discografica. Facciamo parte di un mercato discografico che non incoraggia l’onestà ma non abbiamo iniziato a farne parte. Abbiamo cominciato come fan, questa è solo la ragione per cui esistiamo, quindi la nostra musica cambierà solo nella maniera che riteniamo debba cambiare”: così si raccontavano gli East Village alla fanzine scozzese Do It For Fun nel 1989.
Londinesi, con un nome molto probabilmente ispirato all’East Village newyorkese (luogo di incontro per artisti, poeti e musicisti), avevano già pubblicato nel 1988 due EP per la Sub Aqua di scintillante jangle pop – “Back Between Places” e “Cubans in the Bluefields” – e rappresentavano (rappresentano) la genuinità della scena guitar pop britannica della fine degli anni ottanta dove ancora esisteva una forte componente “fanzinara” nella musica giovanile, ossia un piccolo artigianato di passione fatto di cassettine, fanzine. Un viaggio intenso (a volte breve) fatto di demo, canzoni e concerti nei locali. “Drop Out”, primo ed unico album degli East Village uscito postumo, è una delle fotografie sonore più fedeli di questo modo di vivere la musica, tant’è che viene finanziato dagli stessi componenti della band e da Bob Stanley, autore di fanzine, giornalista per NME, Melody Maker e successivamente fondatore dei Saint Etienne: “[Bob Stanley] è venuto in nostro soccorso. Strani tempi. La scena musicale era cambiata molto rapidamente. Eravamo un po’ in difficoltà. Ma avevamo delle belle canzoni che dovevamo registrare. Abbiamo racimolato un po’ di soldi in qualche modo e abbiamo prenotato uno studio […] … questo fino a quando è intervenuto Bob. Aveva sentito alcuni dei demo”, ricorda Johnny Wood (chitarrista della band) in un’intervista fattagli dalla Cloudberry Records nel 2011.
Il disco, registrato nei primi mesi del 1990, esce per la Heavenly – purtroppo – solo nel 1993, quando il gruppo si è ormai sciolto: le dieci canzoni contenute nell’album, lontane anni luce dall’acid house e dai rave dei primi anni novanta inglesi, hanno quindi l’aspetto, un po’ magico, del classico pop perduto. Chitarre e melodie senza tempo perché ostinatamente fuori moda. Da (ri)scoprire.
(Monica Mazzoli)