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Questa, più che una recensione, è una recensione delle recensioni. O per dirla meglio, una veloce riflessione sul linguaggio di un certo giornalismo musicale in questo momento storico. Se stai leggendo questo articolo, molto probabilmente fai parte della filter bubble in cui sguazza giornalmente anche il sottoscritto, e avrai notato il clamore social tra i tuoi contatti Facebook nel corso della mattina del 17 aprile. Sarà che ogni argomento al di fuori della pandemia di COVID-19 e Confindustria è più attraente del solito, ma è davvero degna di nota la bagarre scaturita dalla recensione di Pitchfork di “Fetch The Bolt Cutters”, l’album di Fiona Apple appena pubblicato. Il magazine online americano è solito pubblicare a corredo degli articoli legati a dischi e singoli un voto numerico in decimi, che come quasi tutti i voti espressi in numeri su di un’opera d’intelletto (a parte quelli dell’equipe scientifica di Kalporz, ovviamente) non significano niente, ma finiscono per attirare maggiormente l’attenzione dei lettori rispetto alle idee espresse dal critico musicale. Tra alcuni voti bassissimi dati per antipatia od oggettività in caso di conclamata merda, voti alti dati per seguire (o distinguersi dal)le mode del momento ed una sfilza di anonime sufficienze, dal 1995 ad oggi solo una dozzina di album hanno ricevuto 10, il massimo in pagella, da “OK Computer” e “Kid A” dei Radiohead a “My Beautiful Dark Twisted Fantasy” di Kanye West passando per “I See A Darkness” di Bonnie Prince Billy fino a quello di oggi, il primo dieci in un decennio, dato all’ultimo lavoro di Fiona Apple. Le conseguenze? Attenzione totalmente monopolizzata dal suo disco rispetto alla quintalata di roba uscita in blocco come ogni venerdì, e non solo perché la cantautrice non pubblicava niente da otto anni (“The Idler…” risale a giugno 2012), ma per quel numerino a due cifre di cui sopra, a cui si possono aggiungere anche l’iperbolica caption del post di Pitchfork su Facebook, “Fetch the Bolt Cutters — named Best New Music—is a perfect album” o estratti dalla recensione come “no music has ever sounded quite like it”. Già si possono leggere articoli di blog col titolo “Alcuni album usciti oggi che non sono quello di Fiona Apple”. I voti possono significare ben poco, ma significano anche troppo quando li elargisce il sito web musicale più letto al mondo, tanto che da anni si discute sull’impatto che una recensione di P4K può avere sulla carriera di un artista, che sia essa positiva (è risaputo che gli Arcade Fire e Bon Iver stanno dove stanno grazie agli articoli favorevoli a loro dedicati) o malauguratamente negativa.
Pitchfork è infatti la webzine più influente degli ultimi anni, tanto da diventare quasi un sinonimo di un genere musicale a sé stante, di una visione da brand per la quale si può parlare con la stessa dignità ed attenzione di Charlie XCX e dei Deafheaven, di hip hop e indie rock nella stessa piattaforma, come solo altri “player” nel music business sanno mischiare con autorità e visione avanguardistica (vedesi il marchio Primavera Sound, festival che manco a farlo apposta ha ospitato per anni un palco a nome Pitchfork). Insomma, hanno saputo comprendere meglio di altri i cambiamenti culturali nelle modalità di ascolto dell’età dello streaming e delle playlist, diventando taste makers prima di semplici vomitatori di opinioni e news. La popolarità della webzine è così cresciuta nel tempo da godere dell’abilità di creare discussioni accese e litigi intorno all’importanza ed alla memorabilità di un album e delle recensioni ad esso correlate in un’epoca in cui la gente non approfondisce più niente, tanto meno in ambito musicale, costringendola invece ad avere un’opinione affine o contraria. Come all’epoca della musica in televisione c’era il boss cattivo MTV e la reazione Anti-MTV (Day), ora c’è chi si basa solo sulla roba che consiglia Pitchfork e chi si rifiuta di sottostare all’autorità dei suoi voti. E’ quel tipo di polarizzazione che non riescono più a suscitare testate storiche come NME, ormai concentrata più sui tweet di Noel Gallagher che sui nuovi dischi decenti, o Rolling Stone, che in Italia è solo seguita per essere presa di mira dalle shitstorm di commenti di chi è fermo come ascolti al 1995, dal momento il giornale non è riuscito a seguire i trend culturali del mondo in modo convincente.
Su Reddit (si tratta pur sempre di un covo di invasati, ma lo sono anche quelli della nostra filter bubble, no?) gli utenti parlano del 10 a Fiona Apple come di momento storico nella musica contemporanea, con l’honoris causa di essere la prima artista donna ad aggiudicarsi questo “titolo”. Ma è davvero un titolo che vale come un tempo valevano i Grammy ed i Brit Awards per la carriera di un’artista? Perchè Fiona Apple sì e Kendrick Lamar aveva preso un misero 9.3 all’uscita di “To Pimp a Butterfly”? In questi 10 anni di voti quanti altri album avrebbero meritato un simile riconoscimento? C’è chi si è addirittura sbattuto nel creare un calcolo per prevedere il criterio con cui i redattori danno i voti, in base ad incognite come l’etichetta discografica, il genere e l’artista (per qualche motivo risulta che chi firma per la Domino Records ha più probabilità di beccarsi un bel voto). Il critico musicale più chiaccherato degli ultimi anni, lo youtuber Anthony Fantano (si può parlare anche nel suo caso di una scena musicale che gravita unicamente intorno ai suoi gusti, vedesi Death Grips e Kero Kero Bonito) ha uno stile che è figlio diretto dell’approccio Pitchfork, con le sue lunghe disamine che si concludono con dei “Decent 6” e “Strong 8”, voti che diventano in seguito il fulcro della discussione sotto i suoi video. Interi stormi di millenial adepti di Fantano aspettano una sufficienza da parte sua per capire se il disco che hanno appena ascoltato piace veramente o è solo un abbaglio temporaneo.
Nel mare magnum delle opinioni sull’hot topic del giorno, Federico Savini, redattore di Blow Up, sul suo profilo Facebook ipotizza schiettamente a proposito della condotta della webzine ed il suo voto a Fiona Apple che “[…] Pitchfork forse si vergogna di aver divulgato per anni musica molto più dozzinale di questa […] e quindi ora scopre l’acqua calda e con la solita disonestà intellettuale pretende di abbeverarci ai dogmi che modifica istericamente. Ma ancora in parte Fiona Apple è oggettivamente un personaggio cult come ce ne sono pochi in giro. Ha un profilo biografico-artistico simile a Scott Walker, è bella ma fa di tutto per far finta di no, è l’idolo più o meno occulto delle fighe più hip (Cara Delevigne fa i cori in un pezzo), è il modello più o meno occulto di Lorde e Billie Eilish, è una che ha avuto una vita travagliata e anche per questo fai comunque fatica a parlarne male, esce di venerdì 17 nel mezzo di una pandemia, non è impelagata nel sistema del leccaculismo social mainstream (oggettivamente, e infatti ora ci sarà la corsa a “purificarsi l’anima” osannando un’outsider vera), alcune tracce di black-music le trovi sempre nelle sue canzoni (e quella ci vuole per forza per l’hype), poi questo nuovo pare un disco più “difficile e strambo” del precedente (col quale è comunque in grande continuità timbrica) e osannarlo anche di più fa passare chi lo osanna per “più intelligente” e quindi, insomma, l’hype si spiega senza problemi”. E disonestà intellettuale e “dogmi modificati istericamente” sono alcune delle cose più lusinghiere che si possono leggere in queste ore a proposito del “metodo Pitchfork”. Altrove, lo schieramento opposto dei sostenitori della webzine dicono che “Dai voti decimali ai voti bassissimi, al dieci a Fiona, basta che se ne parli. E se si parla di buona musica, ogni espediente è buono”. Ed è forse questo il fulcro della questione, nel bene o nel male: un espediente, sotto forma di numero, nella sua rumorosità è riuscito a scuoterci e farci parlare di un album che avremmo o ignorato o ascoltato a scaglioni nel tempo, anziché tutto di fila per cercare di cogliere in fretta quello che hanno colto nella redazione di Pitchfork. Siamo anestetizzati, e solo con certi espedienti strillati i grandi mass media come P4K riescono a destare la nostra attenzione (riuscendoci di nuovo), che il motivo sia perché davvero ci tenevano al rilancio della carriera di un’outsider come Fiona Apple o perché hanno ricevuto una mazzetta dalla Sony. Non è importante per gli ascoltatori, giudicheranno loro, seppur con diverse aspettative in partenza.
Se poi “ Fetch The Bolt Cutters”, rimarrà nella storia come altri secchioni della classe tipo “OK Computer” lo confermeremo tra qualche lustro. Anche perché in tutto ciò ci si è dimenticati di dire che il disco è bello, molto bello, oserei direi da bollino “Questo Spacca” per Kalporz. Andatevelo a sentire.
(Stefano D. Ottavio)