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Gli Yumi Zouma, neozelandesi di Christchurch, tendo immancabilmente ad associarli ai Tops (fuori anche loro in queste settimane). Così come ad altri gruppi a medio contenuto dream in uno spettro che va dai Pure Bathing Culture agli Alvvays. Quelli citati erano e sono una manciata di artisti giovani e diligenti che si son presi la briga di ridisegnare un certo pop etereo e insieme vitale, cinque/sei/sette anni fa. Gli ingredienti? Chitarra relativamente in prima linea e tastiere relativamente dietro, colori pastello, voce femminile e scrittura più che buona. Ma per altri motivi un’associazione la faccio anche con Brothertiger che invece è molto più assimilabile alla scena chillwave dei primissimi anni ’10. Il motivo è che sia Brothertiger che gli Yumi Zouma si sono cimentati in quella cosa matta ma interessante del coverizzare, dalla prima all’ultima traccia, un album famoso. Non sono casi isolati ma li accomuno per la scelta di dischi che sulla carta non parlavano la stessa loro lingua ma che poi sono stati tradotti benino. Nel 2017 Brothertiger rifaceva “Songs From The Big Chair” dei Tears For Fears per la serie (ed etichetta) Reimagine Music e nello stesso anno i neozelandesi firmavano per la serie Sounds Delicious la propria personale versione di “(What’s The Story) Morning Glory?”. Non male, anche se di traduzione molto libera si trattava. Soprattutto era di rilievo che maneggiassero un disco che in quel momento era poco à la page. Già, perché non era ancora successo quel disastro di Manchester (il disco uscì un mese prima) che negli sviluppi avrebbe poi riportato “Don’t Look Back In Anger” a nuova vita interplanetaria.
E questo posizionarsi alcuni metri più in là dalla zona della coolness, la band di Christie Simpson ce l’ha. Oggi, va detto, dopo anche importanti cambi di line up, ce l’ha più di prima. Perché oggi suonare con quel grado di parentela con i Fleetwood Mac di “Tango In The Night”, per quanto estremamente coerente, è una scelta che li colloca nella periferia del pop. Ripeto, questo vale per oggi. C’è stato un momento, invece, nel quale le band citate all’inizio e molte produzioni di area Cascine Records e non solo (il primo delle Haim, per dire), convergevano su quel riferimento melodico di seconda metà anni ’80 (adattandolo nella produzione e nell’approccio vocale). E dopo il 2010 canzoni come “Everywhere” (1987, canzone sublime, io qui lo sottolineo) diventavano contro ogni previsione le bussole di un pop fresco, ben vestito e ben valutato. Curioso che fosse richiamato quale riferimento cool, alternativo e giovane qualcosa che nel momento in cui usciva era visto (la storia dice “a torto”) come un successo commerciale per un pubblico sul maturo andante, fatto da una band gloriosa ma verso il capolinea.
Ecco, ora che quel periodo di fermento è un po’ passato, la coerenza degli Yumi Zouma li premia perché la loro lateralità di oggi, la loro gioventù un minimo sfiorita (nel senso di linguaggio e di audience) li sintonizza meglio di prima con gli antecedenti di quel suono. Difficilmente “Truth Or Consequences” sarà uno dei dischi del 2020 (ammesso che per il 2020 abbia un senso fare classifiche) ma qualche traccia può infilarsi nei nostri cuori. L’opener “Lonely After”, ad esempio, è un caso conclamato di quella leggerezza ben calibrata, dritta al punto, felicemente ispirata. Si fa memorizzare anche il funk impalpabile di “Right Track/Wrong Man” Ma soprattutto, in mezzo ad alcuni episodi di minor rilievo, c’è la canzone che può riassumere ogni discorso fatto fin qui, a partire dal titolo: “Cool For A Second”. Efficacissima nel contesto del video, qui sotto, con quel passaggio dolce e potente del protagonista su per giù dodicenne che balla sulla riva, al freddo, con le cuffie. Che poi, sempre per quel che si è detto, non è che lui vada per forza immaginato nell’atto di ascoltare gli Yumi Zouma. Anzi, per quel che ne so io, la cosa sarebbe altrettanto bella, coerente e circolarmente efficace anche se stesse sentendosi Dua Lipa.
68/100
(Marco Bachini)