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I Don Cab all’interno della mia pool di ascolti sono da sempre coloro che meglio si sono associati a dei momenti di ansia molto forte, come la guida di una tenda che è costretta a passare a filo sopra un braciere, ed anche il mio ripescarli avviene in contemporanea ad uno di quei momenti. Quando li scoprii sui 16 anni, vi erano sentimenti caotici d’amore e conflitto che grazie alle strutture schizofreniche di questi brani riuscivano a trovare sollievo, le battute dispari toglievano il controllo ai lunghi respiri, le rare melodie aprivano dei brevi portali in cui catapultarsi per fuggire, ogni caratteristica che costituiva la composizione musicale dei Don Caballero forniva un nuovo sentiero per mettere sotto scacco la bile nevrotica che ribolliva dentro. In particolare ricordo un frammento di quel tempo, una gita liceale a Monaco in cui stavo costantemente sul punto di crollare. Il mio unico sollievo proveniva dall’ascolto ripetuto di questo brano ed in particolare nell’aspettare un breve frammento melodico che compariva sul principio di questo, spariva, ritornava, evolveva ed infine evaporava, per lasciare spazio ad un tappeto di variazioni e battiti che man mano convergevano ad un unico e continuo rumore che mi cullava sino al suo termine.
Adesso come allora sono ritornati ad infestare le mie orecchie per adempiere al loro compito di esorcismo, ma al posto dei drammi interiori di un adolescente si ritrovano a scontrarsi con le paure di un adulto; in particolare il terrore e la vacuità che il futuro presenta di fronte a sé, i progetti infranti a causa della pandemia globale ed il senso di completa impotenza nel non poter fare nulla in ogni caso. Il rapporto coi Don Cab rimane lo stesso, è il desiderio di sentirsi in pieno controllo di ciò che sta succedendo nella medesima maniera con cui loro disciplinano la loro musica, permettendosi di cambiare rotta quando lo desiderano e far funzionare tutto comunque.
Tra l’altro, giugno è quasi tornato.