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Continuiamo nell’analisi dei cambiamenti nella produzione musicale che si stanno verificando, già esplorati con le interviste a Shain Shapiro, Rasmus Fleischer e Susan Rogers, per affrontare il tema – futuristico ma non troppo – della composizione musicale attraverso l’Intelligenza Artificiale.
Nelle nostre analisi di queste settimane spesso ci fermiamo a considerare l’impatto di un evento, di una tecnologia e di un fenomeno sulla musica. Oggi ci concentriamo effettivamente su quella che sembra una tecnologia destinata a diventare un “game changer”: l’IA.
L’impatto dell’Intelligenza Artificiale in settori come la mobilità, la gestione dei dati e altri è abbastanza studiata e nel corso degli anni varie applicazioni sono state sviluppate. Tocca invece ancora capire al meglio l’implicazione di questi strumenti in settori come l’arte, nella musica e in generale nella sfera della creatività. L’integrazione tra AI e uomo è possibile nella produzione artistica? La domanda più precisa l’ha posta Mark Coeckelbergh, professore di filosofia dell’Università di Vienna, “Can Machine Create Art?”. Il problema è aperto e ad iniziare a rispondere stanno già pensando progetti artistici come quello di Holly Herndon, che tramite la generazione di una baby AI (Spawn) ha plasmato il sound del suo disco “PROTO”. Lei stessa si era schierata in modo molto chiaro su queste tecnologie, spiegando che: “The ideal of technology and automation should allow us to be more human and more expressive together”. Più umani e più espressivi, questi gli orizzonti che la Herndon traccia per una tecnologia come l’AI.
Il rapporto tra musica e AI però ha delle radici profonde che si rintracciano nella computer music e nell’esperimento di Lejaren Hiller, che tra il 1956 e il 1957, ha dato vita al programma ILLIAC I, creando la prima suite compositiva integralmente generata da un computer (strumenti molto diversi da quelli che riusciamo ad avere adesso, ma la sostanza profonda non cambia). Il pensiero di una serie di composizioni del genere è connesso al vedere la musica come una forma artistica governata da una serie di pattern e modelli che possono essere, tutto sommato, riprodotti anche da una macchina. L’AI supera e integra il lavoro dei pc, predisponendosi come una tecnologia che amplifica questo discorso in un modo estremamente esponenziale.
Tutto questo rimanda alla conversazione già avuta da noi con Susan Rogers: lei ci aveva spiegato che oggi siamo capaci di usare in studio strumenti che in realtà non esistono, la bella metafora con i film di fantascienza è calzante. L’AI oggi ci fa chiedere se è possibile amplificare l’interconnessione tra uomo e tecnologia: su questo tema dei ricercatori della Annenberg School of Communication hanno fatto un test molto utile per valutare il livello di apertura mentale del pubblico ad apprezzare composizioni fatte da un’intelligenza artificiale. Le risposte hanno mostrato un generale interesse del pubblico nei confronti dell’AI, ma la prerogativa di base rimane sempre l’accettazione dell’AI nella sua capacità creativa; nel pieno della discussione del paper è specificato: “The results suggest that accepting the creativity of AI is a prerequisite for a positive evaluation of its artistic merit”.
Torniamo allora alla domanda di base sulla capacità dell’AI di produrre arte. In una prospettiva in cui l’uomo è esclusivamente il creatore del codice e non dell’opera sorge un problema molto netto: “The non-human creator – scrive Coeckelbergh nel suo lavoro – is created by human creators, but the work created by the non-human agent is not directly created by the humans”. La creatività dunque è destinata a migrare e diventare un cavillo tecnologico non più legato all’uomo?
Spesso le macchine sembrano eseguire un’azione che però è privata della creatività di base che appartiene al codice, alla sorgente. Per capire di più e approfondire il tema si dovrebbe definire il senso profondo dell’azione creativa, ma questo rischierebbe di aprire una discussione troppo tecnica.
La via più praticabile rimane quella di pensare alle tecnologie dell’AI come ad un’integrazione, non come una sostituzione. L’orizzonte più affascinante rimane quello di Holly Herndon, che in una sua intervista aveva anche parlato del suo rapporto su temi come l’improvvisazione e composizione con l’AI.
Le applicazioni tecnologiche dell’Intelligenza Artificiale nella musica non sono comunque confinate agli aspetti creativi: sono stati infatti condotti studi pionieristici sul futuro dell’applicazione del copyright riguardo ad opere composte e generate da sistemi artificiali.
La creatività computazionale, per azzardare comunque una conclusione, non sembra un nemico terribile da cui l’arte deve scappare, ma può essere un degno alleato, un supporto.
C’è un’eredità comune e profonda che lega il primo pezzo di computer music registrato nel 1951 da Alan Turing nel il Computing Machine Laboratory di Manchester, le melodie dei Kraftwerk, le prime applicazioni del machine learning alla musica e tutta la varietà di brani che le AI di tutto il mondo stanno componendo. Il nostro approfondimento non ha fatto altro che scalfire delle prime domande sulla discussione del rapporto tra musica e AI. Gli aspetti sono tanti e coinvolgono una varietà incredibile di temi, che vanno a toccare l’aspetto più umano e profondo dell’arte: la creatività.
(Gianluigi Marsibilio)