Share This Article
Cuori blu. Quelli (democratici) che ad inizio novembre sono chiamati a dare una svolta ad un paese gestito tra diseguaglianze, corruzione e incuranza per il futuro. Il quattordicesimo disco solista di Bob Mould esce all’alba di un momento fondamentale per gli States e suona come il più politico e rabbioso della sua carriera, tanto vicino alla lezione hardcore degli Husker Du quanto alle melodie a presa rapida dei Sugar: anticipato dalla potentissima “American Crisis” – scritta per “Sunshine Rock” ma poi dedicata all’omicidio di George Floyd – “Blue Hearts” è il grido di frustrazione di un uomo perso, marginalizzato dagli anni ottanta, che non vede la fine del caos.
L’iniziale ballad acustica “Heart On My Sleeve” dipinge il quadro di sconforto con parole nette e inequivocabili, “The rising tide of a broken government/Gold boats are floating on cement/And we’re going to war/And we’re going to die/I wear my heart on my sleeve/Don’t know who to believe any more“, riprendendo il giro melodico di “Monument” che chiudeva “Patch The Sky” del 2016 (laddove il trauma era la scomparsa dei genitori). Da “Next Generation” entrano in scena Jason Narducy al basso e Jon Wurster alla batteria, a pestare indiavolati il disorientamento creato dai cambiamenti climatici, o la pandemia, infine la violenza razzista. “Forecast Of Rain” vede il bardo di Minneapolis rivolgersi ad un “Almighty spirit, so high upon Your holy throne” e utilizzare metafore bibliche per spiegare l’ipocrisia dei nostri tempi, a cui Mould risponde, “My truth is different than your distortions and disguised/Interpretations twisting the words of ancient times” – ficcanti anche l’organo nel fadeout del pezzo e il dinosauro del video invitato ad adattarsi al progresso; in “Siberian Butterfly” la prospettiva di un animale raro è l’emblema della ricchezza naturale messa in crisi dalle opere umane: “Across this land there are no nature scenes/Instead you drill and pillage everything of beauty/In your biosphere you pin these wings so dear/If you touch my chitin surely I will disappear“.
“Everything To You” è il pezzo chorus-bridge beatlesiano che i Foo Fighters cercano da sempre di scrivere, “Racing to the End” e “Fireball” corrono a briglie sciolte di chitarre stratosferiche, mentre “Baby Needs a Cookie” è un episodio più pop che parla goffamente di Donald Trump e che avrebbe amato l’ex-compare Grant Hart. Non mancano brani di marca indie-rock, dalla notevole “When You Left” alla catartica “Little Pieces”, figlie di un ideale triangolo Superchunk-Dinosaur Jr.-tardi Replacements: gemme da radio alternative FM fatte di cuore ed emozioni. In “Leather Dreams” i Led Zeppelin vanno a braccetto con Marc Bolan, “The Ocean” getta sul lavoro una carica di malinconia e psichedelia in feedback. Colui che ha reinventato l’hardcore indossa oggi i panni dell’autore rock con cui fare i conti, onesto e appassionato, nella tradizione di Bruce Springsteen, Neil Young, Michael Stipe, Paul McCartney. Un disco bello da lacrime, imprescindibile per il 2020.
88/100
(Matteo Maioli)