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È difficile cercare (ancora) di spiegare Emiliano Mazzoni a chi – ad oggi – non lo conosce. Perché il modo di apprezzare questo cantautore unico, uno dei cantautori emiliani più lucidi e veri di questi tempi (se non quello più di spessore), c’è stato. Però comprendo che questa possibilità è più appannaggio di chi, come me, abita questi luoghi tra il Po e gli Appennini, e quindi ha avuto la possibilità di vederlo in concerto, in questi ultimi 20 anni, dapprima – negli anni Zero – con gli Inlimine e i Comedi Club, e poi negli Anni Dieci con la sua proposta cantautorale senza tempo.
Emiliano Mazzoni ha fatto da tempo la scelta di restare a vivere in montagna, nella sua Piandelagotti, e la luce dura e faticosa a cui si abbeverano gli occhi dei montanari è, a parere di chi scrive, la chiave di interpretazione di questo suo nuovo lavoro, il quarto, evidentemente molto personale visto che ha deciso di intitolarlo semplicemente col suo nome e cognome. Una luce forte e abbagliante nei mesi estivi quanto fioca e talvolta nebbiosa in inverno (“sfuma la nebbia c’è il sole che splende”, canta nella meravigliosa “Ecco l’impossibile”, oppure “il sole ormai se n’è andato” in “Confidenti sereni”), comunque una luce che domina il paesaggio e che rende ancora più difficile vivere in montagna. Perché o c’è lei a dar manforte, o non c’è ed è dura. Perché magari c’è la neve, e bisogna “far la rotta”, ma che poeticamente Mazzoni fa diventare la direzione tra le nuvole (“Senza perdere nessuno”), oppure c’è freddo, e bisogna stare “vestiti da inverno mentre il viale soffiava”, “stretti nella giacca”. Vengono in mente anche certi personaggi di Ezio Comparoni alias Silvio D’Arzo che si stringono forti le mani in tasca, un po’ per freddo ma molto più per timidezza. Che poi non è un caso, a pensarci bene, che Silvio D’Arzo divenne conosciuto per un suo racconto ambientato sulle nostre montagne (“Casa D’Altri”).
Il linguaggio musicale che usa Mazzoni è quello suo tipico cantautorale che ha interiorizzato la lezione di Nick Cave ma anche dei numi tutelari italiani, ma con una ispirazione di scrittura forse non toccata prima e con anche alcune sperimentazioni coraggiose (la litania post-elettronica, tra P.G.R. e Battiato, di “Quei mercantili”).
Emiliano Mazzoni ricerca la felicità, dovunque si trovi, perché è quella a cui si deve sempre anelare. “E forse saremo felici anche perdendo qualcuno”. Sì, è quello che ci tocca fare, così come a uno come Emiliano è toccato tenere duro sul nostro bellissimo e impervio Appennino dove “muoiono i preti rinsecchiti e vecchi e muoiono i pastori senza mandrie”.
80/100
(Paolo Bardelli)