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È sempre molto facile pensare che l’accessibilità, l’orecchiabilità, la catchiness di un album siano inversamente proporzionali alla raffinatezza dei pezzi, dei testi, della produzione: se non altro, almeno, in un campo sdrucciolevole come la musica pop latinoamericana, che forse solo da quest’anno sta riuscendo ad affrancare la propria immagine dal dominio del reggaeton nelle classifiche globali grazie al soccorso di artisti del calibro di Lido Pimienta, Nathy Peluso, Rico Nasty, Bad Bunny. Ultima – ma non ultima – apripista di questo movimento di affrancamento dalla maledizione di Despacito è Kali Uchis.
L’artista colombiana, nel 2018, aveva stupito e conquistato il pubblico internazionale con “Isolation”, album geniale ma comunque equilibrato e solidissimo grazie ai pilastri di una produzione all’avanguardia e di collaborazioni stellari. Patinato ma non eccessivo, dolce e sontuoso, talvolta danzereccio, altre più chill: nel respiro musicale così ampio di quell’album era impiattato l’intero 2018 e anche un bell’assaggio di ciò che sarebbe venuto nell’anno successivo.
Dopo questo preambolo universalmente condiviso e di certo lusinghiero – ma anche potenzialmente ingombrante per un’artista giovane come Kali Uchis – posso dire che ho ascoltato con iniziale timore, poi con stupore e ammirazione crescenti “Sin Miedo (del Amor y Otros Demonios) ∞”: singoli precedenti all’album come “la luz(Fín)”, i visuals e l’artwork in anteprima sembravano comunicare una direzione certo più latina di Isolation, ma pur sempre circoscrivibile ai gusti di un’ampia fetta di pubblico mainstream proprio attraverso il canale sopraccitato del reggaeton che ha sempre messo d’accordo tutti i palati meno sofisticati tra gli ascoltatori.
Il 18 novembre, invece, “Sin Miedo” ha stravolto ogni previsione: non era possibile fare un altro album sul genere di “Isolation” e Kali Uchis, preso atto con sorprendente maturità artistica di questo limite, ha creato un disco ugualmente raffinato, potente, emozionante ma totalmente diverso e per nulla paragonabile al suo predecessore. Cambiando lo scenario, l’ostacolo della monotonia è stato aggirato senza nessuna difficoltà: se “Isolation” poteva parlare al nostro orecchio di assolate spiagge californiane, “Sin Miedo” ci porta in una stanza segreta dove Kali Uchis può liberare gli aspetti più intimi della sua attitudine musicale e della sua voce vellutata e opulenta, in una serie infinita di variazioni romantiche sul tema dell’amore. Questo, certo, sfruttando il risvolto inizialmente negativo del confinamento forzato della pandemia; ma giocando “in casa” nel vero senso del termine, l’artista ha tirato fuori qualcosa che nessuno si aspettava. Nell’EP “TO FEEL ALIVE” (2020) si intravedeva un interesse per la lingua e le sonorità latinoamericane, ma di minore intensità e consapevolezza; un fulmine a ciel sereno, dunque, questo album dove si fondono sound precedenti e altri nuovi nell’espressione di un sentimento d’amore che è prima di tutto per le proprie doppie radici colombiane e statunitensi e poi per immaginari e immaginarie amanti a cui Kali si rivolge talvolta direttamente e talvolta fantasticando “a un aereo di distanza”.
Come ”Miss Colombia” (2020) di Lido Pimienta, anche Kali Uchis punta su due maestose intro e outro per presentarsi e poi per dirci addio, in due riverenze acustiche arricchite da cori melò e da un impalpabile rumore di fondo che ci trascina in un clube vecchio stile fumoso e notturno, consentendo all’album di aprirsi e chiudersi in un perfetto anello riascoltabile in loop più e più volte (provate).
A partire dal secondo pezzo allo spagnolo si fonde l’inglese, in una serie di giochi e di rimandi (“Y me fui en el Jeep a las doce/The backseat donde yo te conocí”) che dimostrano la possibilità di offrire una mescolanza di lingue armonica e intelligente anche al di fuori del rap da slang duro e puro. I cambi di mood sono vertiginosi quanto ben assortiti fino al culmine di “¡aquí yo mando!”, cupa e avvolgente, pezzo trap-ish sorprendentemente adatto all’atmosfera e che cita niente meno che il vecchio tormentone “Obsesion” con l’aiuto dell’inarrestabile Rico Nasty. Il centro dell’album, tallone d’Achille di tanti artisti, è dominato da un quartetto di tracce che lasciano senza fiato a partire da “vaya con dios” che – so che sembra assurdo, ascoltare per credere – riporta i Portishead nel 2020 e li colombianizza mentre Kali Uchis consiglia all’ex – senza rancore, ma comunque perentoria – di “andare con Dio”, ndr. “que te pedí//“ è la cover di un classico del latin soul by La Lupe, una sorta di invocazione alle Muse a metà opera; “quero sentirme bien” e “telepatía” sfumano l’atmosfera in un latin pop rosa confetto lo-fi, da cameretta, nell’unico richiamo – quasi impercettibile – a “Isolation” e alla sua indimenticata “After The Storm”. “Quién lo diría/Que se podría/Hacer el amor por telepatía?” si chiede Kali Uchis, trovando un modo di cantare senza amarezza dell’amore a distanza proprio nell’anno del suo triste trionfo e farne un ritornello destinato a rimanere in testa anche nel 2021. Il resto di “Sin Miedo” stempera le vette della prima parte senza scadere in qualità, riuscendo nell’obiettivo di proseguire l’album senza appesantire la sua forma perfetta; così l’artista fa un’incursione nel territorio del reggaeton ma soltanto dopo averlo messo a cuccia, addomesticato e addolcito con le carezze della sua voce, dei testi, del sound che è sua prerogativa esclusiva.
Si definisce “ángel sin cielo” nell’ultima traccia, ma nel firmamento musicale dei nuovi anni Venti ci è appena entrata a pieno diritto. Il cielo, Kali Uchis, con quest’album se l’è decisamente guadagnato.
82/100
(Claudia Calabresi)