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Nel corso della sua ormai quarantennale carriera artistica, Nick Cave ha dato vita ad esibizioni live intense che rimarranno scolpite per sempre nel cuore dei suoi fan. Ricordiamo in particolare il live trasmesso dal programma BBC “Songwriters Circle” nel settembre del 1999, l’esibizione dal vivo al David Letterman Show nel 2003 e ancora, per venire agli anni più recenti, il mini show alla Town Hall di NYC nel 2019 dopo una serata del “Conversations with Nick Cave” Live Tour. Al di là dei momenti più emozionanti, ogni concerto di Nick Cave rappresenta un’esperienza mistica, qualcosa che cambia la vita per sempre, un viaggio solo andata nelle tenebre e nella luce di un’anima capace di mettere a nudo il proprio universo narrativo ed emotivo, alternando furia, tenerezza, sacralità, e specchiandosi nel pubblico che adora e da cui riceve adorazione.
Il concerto di Nick Cave solo piano registrato all’Alexandra Palace di Londra e trasmesso in streaming globale lo scorso giugno con l’illuminata regia di Robbie Ryan e ora pubblicato in versione solo audio, è qualcosa di completamente diverso e unico nel suo genere: “Idiot Prayer” è una preghiera nel vuoto e nel silenzio, scevra di virtuosismi e di spettacolo, un corpo a corpo estenuante con il pianoforte, un’esecuzione fuori dal tempo, fatta di respiro, di lentezza, di ricerca di spazi immaginativi, di evocazione di visioni.
Le canzoni eseguite sono in totale 22, appartenenti in sostanza a quasi tutto il repertorio nickcaveano. A parte l’inedito “Euthanasia”, il disco più rappresentato, con ben 6 canzoni, fra cui quella che dà il titolo al live, è “The Boatman’s Call”, e non per caso: l’atmosfera salmodiante e profetica di “Idiot Prayer” rimanda direttamente a quella dell’album della redenzione dell’ex frontman dei Birthday Party. Seguono “Ghosteen” (3 canzoni), “Push The Sky Away” (2), “Your Funeral, My Trial” (2), “The Good Son” (1), “Nocturama” (1), “Tender Pray” (1), “Let Love In” (1), “Henry’s Dream” (1), “Grinderman” (1), “Grinderman 2” (1) e “Skeleton Tree” (1).
Il cantautore australiano si lascia guidare dai suoi stati d’animo e, attraverso la dolcezza noir del piano e il calore baritonale della sua voce, raggiunge una purezza che spoglia le armonie fino all’osso. Nemmeno a quei brani musicalmente sontuosi nella loro versione originale come le ballate apocalittiche di “Higgs Boson Blues”, “The Mercy Seat” e “Papa Won’t Leave you, Henry” è risparmiato questo destino di scarnificazione. Nick Cave ridà nuova vita alle canzoni, plasmandole con un timbro messianico nella forma dilatata e minimale dei sermoni, tanto da far venire in mente le sculture oblunghe e cianotiche di Alberto Giacometti.
Nick Cave è passato da un estremo all’altro: dal finale orgiastico dei concerti del tour di “Skeleton Tree”, con il rito collettivo del pubblico invitato a salire sul palco e la scelta di un eletto da coinvolgere nel duetto di esecuzione della dionisiaca “Push The Sky Away”, a una dimensione profondamente intimista e solitaria, in cui il cantautore australiano si ritrova a suonare nella solitudine più assoluta, pur sapendo che sarà guardato e ascoltato da miliardi di persone in tutto il mondo. In mezzo a questa transizione è accaduto di tutto: Cave ha perso il figlio adolescente Arthur, rinsaldato l’amore per sua moglie Susie, realizzato uno dei suoi dischi più intensi e privati (“Ghosteen”), reso ancora più viscerale e diretto il suo rapporto con il pubblico attraverso le esperienze dei “Red Hand Files” e delle “Conversations with Nick Cave”.
Quello che è sicuro è che al centro della West Hall dell’Alexandra Palace riscopriamo Nick Cave per quello che è realmente: uno di noi, un essere umano che, nonostante l’aura divina che lo circonda, ha le sue fragilità e paure, una persona che dalla relazione profonda con gli altri ha capito quanto ognuno di noi rappresenti uno spettacolo vivente di storie, emozioni, sogni, fallimenti.
92/100
(Emmanuel Di Tommaso)
Immagine in evidenza: Joel Ryan