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Non ho dubbi su quello che è il mio disco dell’anno. Si tratta di Rough and Rowdy Ways di Bob Dylan, l’ennesimo capitolo di una carriera straordinaria che attraversa musica, letteratura, arti visive e performative e nella quale ogni suo gesto o parola – anche e soprattutto sul palco – è un tassello di una pièce brechtiana complicata e profonda. Rough and Rowdy Ways è poesia racchiusa in settanta minuti che vanno dall’incipit del brano di apertura “I Contain Multitudes” («Today and tomorrow and yesterday too / The flowers are dying like all things do») all’epica e monumentale “Murder Most Foul”, quasi diciassette minuti omerici e universali, che paiono passare in rassegna tutta la storia del mondo, tutto ciò che c’era e c’è stato e c’è adesso. In mezzo, sfide alla morte, gotiche discese negli inferi dove nuovi esseri viventi vengono assemblati, dissacranti e ciniche dichiarazioni di poetica, blues demoniaci, invocazioni alle muse e viaggi ai confini del mondo. Sì, Bob Dylan contiene moltitudini.
Fetch the Bolt Cutters di Fiona Apple è altrettanto straordinario. L’hype che l’album ha generato è giustificato: siamo di fronte, a mio avviso, alla cantautrice più rilevante e talentuosa della sua generazione, che ha all’attivo solo dischi grandiosi. Bolt Cutters è un grido liberatorio e sincero; Apple è in totale controllo e non si è mai sentita così libera di sperimentare. Vive – non interpreta: vive – ogni centimetro cubo del disco, lo occupa con mani e piedi, calpestandolo, percuotendolo, levigandolo. È un’esperienza corporea ma anche spirituale. Apple si ciba delle parole, dei ritmi, dei suoni. Che sia la frammentaria “I Want You to Love Me” o la violenta “For Her”, il cinico romanticismo di “Cosmonauts” o il flusso di coscienza di “Shameika”, Fiona è un fiume in piena che chiede – anzi, grida – di poter essere chi e quello che vuole.
Il 2020 musicale non è stato – è quasi superfluo dirlo – minimamente simile a quello sociale, sanitario, economico. Non si è trattato di un anno artisticamente mediocre. Oltre ai dischi sopra citati, a mio parere già pietre miliari, siamo stati colpiti da molte altre opere splendide. Con una sensualità graffiante e raffinata Perfume Genius ha dato alle stampe quello che è probabilmente il suo opus magnum, la sua più liberatoria e seducente dichiarazione d’intenti finora, Set My Heart on Fire Immediately. Una medesima sensualità, incanalata, però, in manifestazioni e composizioni in parte molto diverse, è scaturita dall’eccellente græ di Moses Sumney, album uscito in due parti, di una coerenza e sensibilità rare, cullato dalla voce paradisiaca di Sumney e impreziosito da arrangiamenti e compendi visuali di livello altrettanto mirabile.
Siamo stati travolti dall’energico, febbrile ed elettrico Heaven to a Tortured Mind di Yves Tumor, opera dal fascino inesauribile e dalla carica devastante, percorsa da pezzi da urlo dal piglio industriale e post punk, un insieme di vibrazioni e aggressioni dalla potenza inumana. Un altro album complesso e brutalmente bello è il nuovo Phil Elverum, aka Microphones. Microphones in 2020 è un’unica, lunghissima traccia che sembra prendere le mosse dallo Ulysses di James Joyce per non lasciare sconosciuto nessun angolo della psiche di Elverum, che prova a immergersi, in maniera analitica e puntuale, nel suo stesso percorso di artista e, ancora prima, di uomo.
Waxahatchee ha pubblicato il suo album più completo e ambizioso finora, Saint Cloud, un concentrato di melodie convincenti unite a testi profondi e interpretazioni sentite, pieno di pezzi potenti e sinceri. Ci ha illuminati anche il folk elegiaco e sognante di Adrianne Lenker, che con songs / instrumentals, undici brani cantati e due lunghe suite strumentali, composizioni poetiche, malinconiche e nude, continua il suo periodo di grazia che già l’anno scorso le aveva permesso di produrre, con la sua band Big Thief, due album clamorosi. L’eleganza, la raffinatezza e la schiettezza di Phoebe Bridgers brillano nel suo trascinante Punisher, percorso da melodie riuscitissime e testi diretti e particolarmente efficaci, intrisi di una emozionalità e di una sincerità feroci.
Anche l’hip-hop convince, anche se in maniera più discontinua del solito. Ho ravvisato l’unica eccellenza nel duo rap Run the Jewels, che col loro quarto lavoro continuano una marcia trionfale che li vede produrre solamente dischi straordinari. Anche RTJ4 è, dal punto di vista tematico, un pugno nello stomaco. Tutti quei drammatici temi che la morte di George Floyd avrebbe riportato al centro del discorso sembrano percorrere il disco in ogni singolo beat. Killer Mike ed El-P sono, come al solito, in uno stato di grazia e continuano ad ampliare e rinnovare il loro sound tagliente e acido con una convinzione e una applicazione sempre più puntuali. Non siamo ai livelli di RTJ2, ma (ben) poco ci manca. Dopo canzoni e album presento anche una lista di film in ordine alfabetico.
Canzoni
10) Haim – “The Steps”
9) Moses Sumney – “Cut Me”
8) Megan Thee Stallion ft. Beyoncé – “Savage (Remix)”
7) Waxahatchee – “Fire”
6) Perfume Genius – “Describe”
5) Phoebe Bridgers – “I Know the End”
4) Yves Tumor – “Gospel for a New Century”
3) Adrianne Lenker – “anything”
2) Fiona Apple – “Cosmonauts”
1) Bob Dylan – “Murder Most Foul”
Album
10) The Microphones – Microphones in 2020
9) Run the Jewels – RTJ4
8) Yves Tumor – Heaven to a Tortured Mind
7) Moses Sumney – græ
6) Adrianne Lenker – songs/instrumentals
5) Phoebe Bridgers – Punisher
4) Waxahatchee – Saint Cloud
3) Perfume Genius – Set My Heart on Fire Immediately
2) Fiona Apple – Fetch the Bolt Cutters
1) Bob Dylan – Rough and Rowdy Ways
Dieci film in ordine alfabetico
City Hall – Frederick Wiseman
Colectiv – Alexander Nanau
David Byrne’s American Utopia – Spike Lee
First Cow – Kelly Reichardt
Hamilton – Thomas Kail
Lovers Rock – Steve McQueen
Ma Rainey’s Black Bottom – George C. Wolfe
Never Rarely Sometimes Always – Eliza Hittman
Time – Garrett Bradley
The Vast of the Night – Andrew Patterson