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Palindrome è il nome dietro al quale operano Paolo Peyron e Alessandro Maccarrone, musicisti elettronici con base a Torino. Di freschissima uscita, “Forever Endless” è il loro debutto autoprodotto su LP, dopo una prima prova a minutaggio inferiore (l’EP “To Feel You”, uscito nel 2018).
Se per voi ha senso di parlare di musica italiana al di fuori del circolino della musica leggera e più recenti cugini, si potrebbe dire che il primo disco dei torinesi sia un ottimo esordio italiano. Raramente ci si aspetta davanti a una formazione del Belpaese determinate scelte di suoni, arrangiamenti, finanche di ispirazioni. Chissà perchè, poi, dobbiamo continuare a raccontarci questo complesso d’inferiorità che esiste nel momento stesso in cui viene discusso.
Perchè, seguendo la narrazione sopra enunciata, “Forever Endless” è un disco per niente italiano, che farebbe dare al recensore tipo l’appellativo di alieni ai nostri cari Palindrome. Ma anche questo sarebbe un esercizio di pigrizia, in quanto lo sappiamo bene che i trentenni di oggi, a livello musicale, hanno una formazione che evade dalla selezione coatta del live club di provincia ma improntata su una scena europea che si sposta per festival diventati, negli anni, cartina tornasole di una nuova scena giovane, ibrida, e fluida.
E da questo retroterra europeggiante e festivaliero arrivano i Palindrome, e non a caso si formano a Torino, città europeissima e sede di innumerevoli iniziative a tema elettronico, tra cui il festival Club To Club, da anni megafono di quell’avant-pop di cui il duo cerca di farsi alfiere.
E le otto tracce contenute in “Forever Endless” assomigliano infatti a un mix di quanto è passato negli anni nei saloni del Lingotto, elaborati attraverso il personalissimo filtro dei Palindrome, che reinterpretano questi stilemi contemporanei a colpi di pianoforti molto soft, sintetizzatori puntinisti, e quantità industriali di pad ambientali ed effetti vocali con il quale imbastire trame armoniche.
Il buonsenso vorrebbe che vi indicassi “The Same Path”, realizzato in collaborazione con 3 roses, come il pezzo trainante del disco, grazie anche al videoclip realizzato e la sua struttura accattivante e quadratissima; in realtà, complice il fatto che trovandola in una riproduzione shuffle potrei bollarla subito come un vecchio brano di James Blake (e dici poco, potreste ribattere) preferisco portarvi all’attenzione altri brani, forse meno riusciti o inquadrati ma che ho sentito più veri, per quanto peso possa dare a questa parola -poco.
Da “The Same Path” siete infatti a uno skip di distanza da una doppietta di brani che ho apprezzato molto, “OUAT” e “Passing By”, in cui Peyron e Maccarone si divertono a esplorare territori diversi dai beat downtempo soft che dominano il disco, o almeno nelle sue parti cantate.
In generale, un esordio buonino per i due torinesi, che hanno individuato il loro territorio d’azione e ora devono semplicemente imparare a farlo loro in ogni aspetto. Una sfida non facile, ma considerando che mi hanno costretto al pippone iniziale per distinguerli da una banale recensione del classico gruppo italiano, niente che appaia impossibile.
72/100
(Matteo Mannocci)