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Il disco di un padre dedicato alla memoria del figlio. Justin Townes Earle è morto lo scorso agosto. Aveva 38 anni. Non so come siano andate esattamente le cose: si parla di overdose. Quello che è certo è che J.T., classe 1982, era a sua volta un talentuoso scrittore di canzoni. Per quanto afflitto da grossi problemi interiori e sembra percorso da quella terribile sensazione di dovere per forza di cose misurarsi con la figura gigantesca del padre Steve Earle, che è uno dei più grandi e popolari cantautori “americana” della sua generazione.
L’ultimo disco di J.T. è “The Saint Of Lost Causes” (New West Records, 2019). Sulla copertina c’è un Cristo Pantocratore. È un disco di musica americana che guarda variamente a Bob Dylan, Bruce Springsteen, Johnny Cash e soprattutto al padre Steve. Un disco che racconta mezzo secolo di musica americana ma anche la parabola border-line di un ragazzo che come era successo al padre prima di lui, era finito nel tunnel della droga.
Sinceramente mi è impossibile dare un giudizio netto sull’album che Steve Earle, supportato dalla sua backing band The Dukes (Chris Masterson, Eleanor Whitmore, Ricky Ray Jackson, Jeff Hill, Brad Pemberton) ha voluto dedicare a un evento così tragico nel corso della sua esistenza. Non è la prima volta che succede. Viene in mente Nick Cave: tra i tanti giri a vuoto degli ultimi anni, riuscì con “Skeleton Tree” (Bad Seed Ltd, 2016) a fare qualche cosa di “diverso” e di importante. Come se questo drammatico evento lo avesse per qualche momento staccato dalla sua autoreferenzialità, prima di ritornare a impersonare una “figura” di cui egli stesso sembra essere schiavo.
Il caso di Steve Earle è differente. Fermo restando che come detto, non possiamo dire nulla su come una persona possa vivere qualcosa di così difficile da superare, Steve sembra riuscire con questo disco a elaborare il lutto e in generale tutta l’esperienza nel suo legame con il figlio, con un certo grado di consapevolezza. “J.T.” (New West Records) non è quello che si vorrebbe raccontare come un capolavoro, ma è sicuramente un buonissimo disco. Peraltro, questo non è dettaglio secondario, è un disco in cui Steve suona tutte canzoni di J.T. (il nome Justin Townes è chiaramente un omaggio a Van Zandt): è una specie di dono. Ma il dono non è quello di Steve nell’omaggiare il figlio, ma quello che Justin Townes ha lasciato al padre, un patrimonio inestimabile di canzoni country-rock e americana, che qui vogliamo raccogliere come dono di semplice e puro amore senza nessuna condizione.
Tra i momenti migliori proprio “The Saint of Lost Causes”, una canzone a cui sono particolarmente legato. Inevitabilmente Last Words. “J.T” non ha sicuramente la stessa forza di “Ghosts of West Virginia” pubblicato da Steve lo scorso maggio su New West Records e vero e proprio manifesto “americana” e degli USA di oggi e uscito prima della drammatica fine di J.T. O meglio ha una forza differente, che possiamo per forza riconoscere e fare in qualche modo anche nostra. Il voto non lo metto, ma mi sembra ovvio che per chi ami generi come il country-folk e la musica americana questo sia un disco che tra le uscite del 2021 va sicuramente ascoltato.
Foto in home ufficiale da bandcamp di Steve Earle
Photography: Danny Clinch and Sara Sharpe