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Una settimana fa, l’otto Gennaio per esser precisi, si celebrava la nascita del Thin White Duke, a.k.a. Ziggy Stardust, a.k.a Aladdin Sade, a.k.a David Bowie. Sembra passata una vita da quel 10 Gennaio, quando il sessantanovenne artista inglese metteva in scena l’ultimo atto della sua dipartita, che vedeva il corpo principale nel suo ultimo album, “Blackstar”, uscito proprio in occasione del suo ultimo compleanno.
Ma l’otto Gennaio è una data prolifica per il mondo della musica, e il personaggio al quale sono più affezionato nato in questa data non è nemmeno Bowie, ma un milanese, Claudio Rocchi. Personaggio forse minore della gloriosa stagione freak & prog dei primi ’70s italiani, Rocchi è un personaggio a modo suo unico che è riuscito ad attraversare i decenni con classe, fino alla sua tragica scomparsa nel 2013, a causa di una malattia degenerativa che lo aveva già costretto all’immobilità.
Quest’anno ricorrono i 50 anni dal suo secondo LP, “Volo magico N°1”, uscito nel Dicembre ’71 per Ariston quando era anche speaker della trasmissione radiofonica “Per voi giovani” e universalmente riconosciuto come suo opus magnum da ascoltatori e critica, rimane una vera e propria chicca del periodo. Arrivato da un esordio buonino, “Viaggio”, uscito un anno prima e suonato a quattro mani con Mauro Pagani, “Volo Magico” stupisce perchè è diverso da qualsiasi altra cosa potesse uscire in Italia in quel periodo.
Il lato A del disco presenta una jam di 18 minuti che da il titolo all’album, in cui ad accompagnare Rocchi c’è una band di tutto rispetto, che vede nei suoi ranghi anche un ventenne Alberto Camerini e Ricky Belloni, che da lì a poco sarebbe diventato chitarra e voce dei New Trolls esordendo in “Concerto Grosso N°2”. Il senso di libertà che esce dai solchi è sconcertante, ascoltato oggi: da un’introduzione di chitarre e tabla, alla quale si aggiungono presto la voce di Rocchi e un pianoforte, si arriva a una delirante e psichedelicissima sessione portata oltre i suoi stessi limiti da Claudio Rocchi, che pare improvvisare pure una parte di testo, per spingere i propri musicisti ad andare oltre. Una summa psichedelica dell’ambiente milanese di fine anni Sessanta, che poteva trovare simili forse solo nel disco delle Stelle di Mario Schifano, dei Velvet Underground al pomodoro che riuscirono a diventare una scheggia impazzita della musica italiana.
Anche il lato B offre delle bellissime sorprese: oltre al lungo brano “Giusto amore”, che riprende la forma jam della title track seppur senza raggiungere quegli apici; la conclusiva “Tutto quello che ho da dire”, dolcissima ninna nanna perfetta per il finale; ma la prima traccia del secondo lato, “La realtà non esiste”, diventerà un classico della discografia di Rocchi e una chicca, per quanto un po’ nascosta, della discografia nazionale.
La carriera del cantautore milanese continuerà tra alti e bassi, registrando anche un milione di copie vendute per il disco “Un gusto superiore”, realizzato insieme all’amico e compagno di comunità Hare Krsna Paolo Tofani (già chitarrista degli AREA), fino a quando negli anni ’80 si ritirerà in Nepal insieme alla famiglia per seguire la propria spiritualità.
Tornato in Italia all’inizio degli anni ’10, fa in tempo a regalarci un ultimo, grandioso disco, in collaborazione con Gianni Maroccolo, produttore e bassista di Litfiba, CCCP, CSI, PGR, Marlene Kuntz e altri.“VDB23 / Nulla è andato perso” uscirà però postumo a uno dei suoi autori, dato che Claudio Rocchi ci ha lasciati nel Maggio del 2013.
Nel disco si trova un brano, dal titolo “LD7M”, dedicato agli ultimi minuti di vita del padre di Maroccolo, che appare però come uno straziante testamento artistico e spirituale di Rocchi, poco prima che partisse per il suo ultimo volo magico.
(Matteo Mannocci)