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“Stretched out, open to beauty, however brief or violent” – annuncia la voce parlata della cantautrice e poetessa di West London Arlo Parks nel suo debut album “Collapsed in Sunbeams”. Difficile descrivere il primo progetto di una ragazza ventenne, senza cadere nella retorica, ma ciò che rende questo debutto così speciale è senza dubbio il modo in cui vengono affrontati i momenti del vissuto quotidiano. La musica intima di Arlo, offre riflessioni cerebrali, dolcemente candide, che nuotano avvolte da una poesia gentile.
In alcune interviste ha dichiarato che molti dei suoi testi sono tratti dai diari del periodo adolescenziale, una cronistoria dei vissuti aggiornati con osservazioni taglienti e riferimenti divertenti. Esempio significativo viene da “Black Dog” una traccia profonda sul tema della depressione, tanto che NME l’ha definita “la canzone più devastante del 2020”: “Sometimes it seems like you won’t survive this and honestly it’s terrifying, let’s go to the corner store and buy some fruit I would do anything to get you out your room”. La melodia, perfetta nella sua semplicità, si basa su pochi accordi di chitarra acustica naturalmente strimpellati: lunghi, leggeri e fragili come ali di una farfalla. La forza di Parks sta nel modo in cui intreccia abilmente le emozioni umane con le esperienze in cui ognuno di noi si riconosce, alle melodie melanconiche. In “Caroline”, che ricorda le trame shoegazey di “Weird Fishes / Arpeggi” dei Radiohead, la cantante londinese racconta – con dettagli quasi voyeuristici – di una coppia che litiga in pubblico, con l’uomo che alla fine urla: “Caroline, I swear to God, I tried!”. Sembra quasi di vederli. In “Hurt” c’è tutto il grido di sostegno carico di tamburi per l’amico depresso Charlie, a cui assicura che quel dolore che sente non durerà per sempre: “Just know it won’t hurt so much forever”.
La determinazione garbata, seppur ferma, di sopportare sentimenti difficili rendendoli inoffensivi con l’arrivo del giorno nuovo, si accompagna all’energia delle percussioni che guidano l’intero disco, evitando che i loop easy-soul si trasformino in semplice musica di sottofondo. Nel frattempo la poetessa in “Eugene”, racconta la gelosia provata per il suo amico etero, per cui sente qualcosa di travolgente e affronta problematiche familiari in “For Violet”, dove incoraggia l’amica in difficoltà, che subisce le violenze di una famiglia abusiva: “You know when college starts again you’ll manage … Just hold on for tonight”, avvolgendo la prosa poetica in un trip hop alla Portishead.
I testi si sposano perfettamente con la fluidità melodica voluta dal produttore e collaboratore di lunga data Gianluca Buccellati, un suono senza fretta che prende sempre una deriva affascinante come in “Green Eyes” con il featuring della cantautrice americana Clairo, presente in cori e chitarra; una riflessione sugli atteggiamenti sociali nei confronti delle relazioni omosessuali: “Some of these folks wanna make you cry but you gotta trust how you feel insiede, and shine”. “Hope”, di contro, è un pezzo ibrido tra il jazz di Norah Jones e le chitarre psichedeliche fatte di armonie stratificate di Blood Orange, che accompagnano la confessione a cuore aperto della cantante: “You’re not alone, like you think you are, We all have scars, I know it’s hard, You’re not alone”.
È strano provare un senso di pace e rassicurazione ascoltando le parole di una ragazza agli inizi non solo della sua vita e della sua carriera, ancor di più se pensiamo al momento storico che stiamo vivendo. Eppure, il tenue dolore che si cela nella sua voce, nelle liriche e nella melodia, sembra abbracciare quello di ognuno di noi: “I’m always making rainbows out of something painful” chiosa sull’ultima traccia “Portra 400”. Chissà se basterà illuminare di colori e note questo nostro tempo per riuscire brillare di luce nuova. Arlo Parks in “Collapsed in Sunbeams”, ci esorta quantomeno a provarci.
76/100
Simona D’Angelo