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C’è qualcosa di altamente mesmerizzante nelle esibizioni live, il divenire di un suono sempre nuovo, contaminazione in atto, terreno fertile per ogni sperimentazione. A farsi conoscere soprattutto live al The Windmill di Brixton sono stati i Black Country, New Road, sorti dalle ceneri del gruppo Nervous Conditions, in cui cinque dei sette membri della band già suonavano. Protetti dalle esperte mani del mecenate del post-punk revival Dan Carey (Speedy Wunderground), i Black Country, New Road hanno iniziato ad acquisire notorietà nel 2019 con il singolo “Sunglasses”, che a molti aveva ricordato il famoso free jazz punk inglese di Battiato. Racconto di un’esistenza intellettuale annoiata (and I am so ignorant now / with all that I have learnt), descritta dal cantante e chitarrista Isaac Wood come “una canzone sul tennis”, Sunglasses aveva colpito soprattutto per la vena rock sperimentale – quello era stato l’anno del math-rock dei black midi, ricordiamolo – e il testo, un miscuglio post-moderno di high e low culture (I am more than adequate / leave Kanye out of this) influenzato da scrittori americani quali Pynchon e Vonnegut. Tanto di cappello, si sono aggiudicati con poco più di un brano il titolo di “migliore band del mondo” secondo il web-magazine inglese The Quietus. E non è poco.
Febbraio 2021, a che punto siamo? I Black Country, New Road fanno uscire il loro attesissimo album, sei tracce condensate in 40 minuti. Un’inaspettata influenza klezmer apre il disco con “Instrumental”, un Breadcrum Trail aschenazito. Subito ci raccoglie l’inquietante atmosfera di “Athens, France”, singolo già pubblicato per la sopracitata Speedy Wunderground. La canzone, qui rivisitata per il disco, ammicca alla precedente versione e all’esperienza sessuale raccontata, pasto ora per i “cursed vultures” di internet. Riff prepotenti e free jazz accompagnano il racconto di un incontro a una fiera scientifica nel singolo “Science Fair”, dove i Black Country, New Road si definiscono giocosamente “the world’s second-best Slint tribute act” e ancora una volta la vita quotidiana sfocia in assurdità e paranoia, con l’ironia di uno stremato it’s black country, out there! Il brano più corto dell’album, “Track X” (4:43), è composto da una rassicurante melodia e coro femminile, il citazionismo si sposta da Motion Sickness di Phoebe Bridgers (Sunglasses) alle prime contaminazioni musicali del gruppo al The Windmill pub (dancing to Jerskin, I got down on my knees / I told I loved you in front of black midi). La traccia finale, “Opus”, è un ritorno alle ritmiche klemzer e free jazz di Instrumental, interrotte e riprese continuamente in atmosfere post-rock dal violino di Georgia Ellery, membro del duo elettronico-sperimentale Jockstrap, mentre il crescendo finale sembra alludere alla precedente formazione della band: what we built must fall for the rising flames!
È ironico come il titolo del disco reciti per la prima volta, nonostante quattro delle sei tracce contenute nel disco fossero già note agli ascoltatori, suonate e risuonate a Brixton, Cambridge, Londra. Eppure forse è proprio questo il punto, i Black Country, New Road sono una band che ha ancora tanto da suonare, ma, per la prima volta, sono capaci di dare vita a un sound nuovo e degno delle sue influenze. Con molta probabilità, il 2021 appartiene già a loro.
82/100
(Viviana D’Alessandro)
foto in home fornita da Ufficio Stampa Comcerto