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Ci eravamo lasciati, lo scorso anno, con Lubomir Grzelak a.k.a. Lutto Lento che ci augurava fortuna e prosperità per l’appena cominciato anno del topo. Sappiamo come purtroppo le celebrazioni del capodanno lunare sia coincisa con la prima ondata di contagio del Coronavirus e l’inizio di uno stato di emergenza permanente di cui tutt’ora non riusciamo a vedere la fine.
Ed eccoci qua, all’inizio dell’anno del toro, con il secondo LP del producer polacco: “LEGENDO”. Un collage di immagini e suoni che racconta la contemporaneità con uno stile cinematografico.
Le dodici tracce contenute in “LEGENDO” dimostrano infatti come si possa arrivare a una coerenza nel concept e nel sound pur attraversando una rosa di stili diversi: dal post-industrial all’hip-hop, dalla musica da camera al metal fino agli inserti post-club.
Quello di Lutto Lento, seppur uscito solo a Febbraio, è uno di quei dischi di cui probabilmente si farà un gran parlare tutto l’anno, se non oltre, proprio in virtù della sua narrazione sempre coerente e di un sound design unico e curatissimo, che non ha paura di mischiare in virtuosissime orchestrazioni sintetizzatori digitali, batterie elettroniche e non, strumenti acustici e field recordings.
Esemplare il caso della traccia numero nove, “Horned Heart”, nove minuti realizzati in collaborazione con Katarzyna Karpowicz nei quali succede di tutto: dopo l’introduzione dominata dal suono del koto (una cetra di origine giapponese) di Karpowicz, succedono dei beat accompagnati da sintetizzatori dal suono e andamento orientale, seguiti dalla trasformazione di questi in rumorosissime trombe sintetiche dell’apocalisse, prima di concludersi in un nuovo beat che sfuma tra le note del koto, tornato per svegliarci dalla trance allucinatoria in cui ci aveva indotto il buon Lubomir Grzelak. “This is sick”.
“LEGENDO” potrebbe essere annoverato come uno dei lavori elettronici più interessanti degli ultimi anni, e dimostra come la forma album sia morta solo agli orecchi di chi non li ascolta. Come ultimo appunto, da segnalare come il disco in questione sia stato pubblicato dalla milanese Haunter Records, che aggiunge un tassello importante alla sua discografia e riesce anche a darci quel poco che basta di orgoglio campanilistico per aver fatto entrare anche un po’ d’Italia in questa release. Bravi tutti.
85/100
(Matteo Mannocci)