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In questi giorni di Febbraio del 1966 i Beach Boys iniziavano le registrazioni di un brano spartiacque per la loro carriera, summa del genio visionario di Brian Wilson: “Good Vibrations”.
I numeri dietro a questo successo pop immortale sono impressionanti: 90 ore di nastro magnetico utilizzato in 17 diverse session da febbraio a settembre, costi di produzione vicini ai 50’000 dollari (400’000 nella valuta attuale) e più di un milione di copie vendute in tutto il mondo. “Pet Sounds”, per fare un confronto, ha richiesto meno ore di lavoro con un budget di poco superiore.
Uno dei primi singoli ad abbattere il muro dei tre minuti, Brian Wilson lo costruì su uno schema modulare con in testa il George Gershwin di “Rapsodia in Blu” e nel cuore il Phil Spector di “You’ve Lost That Lovin’ Feelin’” o “Da Doo Ron Ron” da cui prende il battito di terzine del violoncello in apertura al chorus. Sei sezioni/movimenti uniti in una pocket symphony, come la definì l’agente del gruppo Derek Taylor, che inizialmente accolse le resistenze di Carl e Denis Wilson e di Mike Love (“It was so avant-garde, I wondered how our fans were going to relate to it“).
“A song about a guy picking up vibrations from a girl“. Il testo scritto da Love è uno dei manifesti del flower-power e consegna “Good Vibrations” ai manuali del pop. Sicuramente trascende il rock’n’roll, leggendo le testimonianze di decine di musicisti coinvolti anche nella realizzazione di “Pet Sounds” come l’armonicista Tom Morgan, “Brian knew every note in his head. He would use the studio and get that idea from his head onto tape, and he’d do it by recording it in bits and pieces, getting different sounds from different studios. A revolutionary idea for making records“.
“Good Vibrations” sarà l’ultima numero uno per Brian Wilson, che nella ricerca della perfezione abbandonerà il gruppo e troverà un esaurimento nervoso saturato dall’abuso di droghe e di psico-farmaci somministrati dal controverso terapeuta Eugene Landy. Saprà risollevarsi dalla metà degli anni novanta, producendo dischi di spessore come il magnifico “Brian Wilson presents Smile” (2004) scritto con Van Dyke Parks e contenente nuove versioni di “Surf’s Up”, “Heroes and Villains” e appunto “Good Vibrations”: doveva essere il seguito, in quell’incredibile 1966, di “Pet Sounds”.
(Matteo Maioli)