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E alla fine anche il percorso artistico dei Daft Punk ha trovato un punto di arresto. Non che fosse necessario, ma l’enorme numero di condivisioni, articoli e dimostrazioni d’affetto, ci mostra senza esitazioni quanto il consenso e l’apprezzamento intorno all’operato del duo francese fosse ampio. La costruzione negli anni di un tale successo, che tocca in modo tanto trasversale ascoltatori di ogni provenienza, è una operazione riuscita a pochi grandi.
Sgombriamo subito il campo dagli equivoci: i Daft Punk non sono mai stati degli innovatori o dei rivoluzionari. Gli ingredienti del loro sound erano tutti già ben disposti sul piatto; dalla disco black anni ’70, alla house di Chicago e la techno di Detroit.
Anche sul piano dell’immagine e delle suggestioni visive, che accompagnava i loro videoclip e le loro performance live, c’è un richiamo all’immaginario retro-futuristico già sfruttato oltremisura dai veterani della italo-disco degli anni ’80. Tuttavia, per quanto questa possa sembrare una considerazione banale, i Daft Punk sono riusciti davvero a fare “la cosa giusta al momento giusto”, arricchendo il tutto con un gusto personale, con un pizzico di quel “french touch”, quell’approccio alla musica elettronica tipica dei cugini d’oltralpe che alla fine dei ’90 sfornava artisti come Air, Mr Oizo o i Phoenix (di cui uno dei membri militava nei Darlin’, band primigenia dei nostri).
Nel 1996 “Around the world”, tratta dal debutto “Homework”, è dappertutto, nelle radio, nei bar, nelle discoteche e nei festival rock estivi. Da allora ogni mossa della band sarà anticipata da un hype spropositato ma che raramente sono riusciti a deludere. L’album seguente, “Discovery” del 2001, è forse più ruffiano, con brani più sfacciatamente “pop” del precedente.
Il loro capolavoro (ok, queste cose sono molto soggettive si sa) rimane “Human after all” del 2005. A differenza dei lavori precedenti i suoni qui si fanno più aggressivi, compaiono spesso anche chitarre distorte, ma tutto è centrifugato dall’elettronica in una atmosfera cyberpunk dalle tinte più scure e inquietanti. Il tema che sembra prevalere è quello del rapporto controverso dell’uomo con la tecnologia, come si evince ad esempio dalla title track e brani come “Robot Rock e Technologic”. Tutti corredati da videoclip altrettanto ben fatti, con la loro fotografia patinata anni ’80, che hanno reso davvero indelebile nell’immaginario pop collettivo la rilevanza del duo.
Dopo il curioso coinvolgimento nella colonna sonora del remake del classico di fantascienza per la Disney, “Tron, Random Access Memories” rappresenta già una sorta di auto-celebrazione, con tutte le grandi star che accorrono a collaborare, in particolare il re mida degli anni 2000, Pharrell Williams. Quello che ne esce è sicuramente un disco di ottima fattura ma forse anche il più legato agli stereotipi della disco-funk degli anni ’70 e ad un uso del vocoder fin troppo eccessivo.
La musica dei Dafk Punk, volenti o nolenti, ha rappresentato la soundtrack di una generazione: momenti di svago, divertimento e spensieratezza di cui un po’ tutti in questo momento sentono la mancanza. Ma prima o poi torneremo a ballare, “Harder, Better, Faster, Stronger”.
(Eulalia Cambria)