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Abbiamo dovuto aspettare quattro anni per mutare liberi con “Clamor”, secondo album del duo art-pop formato da Maria Arnal e Marcel Bagés. Undici brani di sperimentazione elettronica a riconfigurare e stravolgere i suoni intrapresi con “45 Cerebros y 1 Corazón” (2017), acclamata documentazione dei primi passi del progetto. In molti sensi uno slancio avanti nel futuro, colorato dalle vibranti forme di vita che si annidano nelle sonorità del disco e che ci piace immaginare abitino tutte all’interno dell’enorme cratere fluttuante che domina la copertina dell’album. Ad accompagnarli nel progetto è David Soler, che si occupa fra le tante cose di produrre “materia organica” e da qui i canti di balene, campane di capre, cicali e il chiacchiericcio di qualche lavandaia, nonché i riferimenti letterari e filosofici all’opera di Timothy Morton e Paul B. Preciado, che attorniano il disco. Il viaggio inizia luminoso con le rassicuranti ed energetiche melodie di “Milagro”, per poi lasciare spazio all’ipnotico arpeggio e ai microbeats di “Ventura”, mentre “Fiera de mì” è un vortice appassionante dallo sguardo antropologico che ricorda la giocosa Björk di “Human Behaviour”: “quién quiere nacer humana? / soportar la humanidad? / tanto latido perdido por el clic del capital!” (“chi vuole nascere umano? / sopportare l’umanità? / così tanto battito cardiaco speso per un clic del capitale“).
Notevoli sono anche le collaborazioni, come quella con la compositrice e profetessa dell’elettronica sperimentale Holly Herndon, di cui si riconoscerà la post-umanità dei cori nell’adattamento del dramma liturgico medievale “Il Canto della Sibilla”, o le acrobazie sonore di “Tras de ti” con la Morphosis Ensemble, o ancora la cupa foresta elettroacustica raccontata da “Jacque” con il Kronos Quartet che ci invita fra i battiti e le pulsazioni a sentire il clamore. “El gran silencio” è una moltitudine di voci su una lieve pioggia sintetizzata che sfocia nella nebulosità di “Hiperutopia”, dove la voce di Arnal è spezzata e rispecchiata, lasciando trapelare l’influenza della produttrice venezuelana Arca. I raggi della strumentale “Alborada” concludono il disco, richiamano creature e specie cosmiche e invitano a trasformare, divenire. Non è forse quindi un caso che lo scorso venerdì Maria Arnal e Marcel Bagés si sono esibiti al Museo del Prado, di fronte variopinto e metamorfico “Giardino delle delizie”, magnum opus del pittore fiammingo Bosch e rappresentazione di mostruosità ultraterrene.
“Clamor” è un disco di utopie concrete, un suono ancorato tanto all’art-/glitch-pop che alle melodie tradizionali folk-pop del precedente lavoro. Mutant pop, dicono loro. E noi sottoscriviamo.
79/100
(Viviana D’Alessandro)