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Andare troppo lontano per non essere dei perdenti
“Il senso della vita è costruirsi una morale personale che rispetti l’uomo e la natura e poi metterla in pratica” (Aki Kaurismäki).
Con Una donna promettente la linea di demarcazione tra lo spettatore e il soggetto dell’opera si fa sempre più sottile. Mentre negli Stati Uniti, e non solo, divampa un sentimento anti-asiatico (nel caso di Robert Aaron Long con una forte componente sessuale), Hollywood e gli intellettuali continuano a snocciolare le “95 tesi” per diventare dei perfetti progressisti, e il tutto rimanendo nelle rassicuranti maglie della banda larga. Ci voleva una donna, finalmente, con Una donna promettente per portare a noi, pubblico bulimico, una storia che ci prendesse a livello personale costringendoci a riflettere sulle implicazioni quotidiane che viviamo tramite le nostre scelte morali.
Emerald Fennell, alla sua opera prima, tocca un nervo scoperto dell’intellighenzia americana chiedendo, a chi guarda, di condividere il proprio repertorio di sensi di colpa borghesi da bravi neo-censori di ogni forma di violenza che vivono, tutto sommato, in una realtà che non progredisce.
Il merito di Una donna promettente è spostare il dolore dalla dimensione teorica dei divulgatori culturali a quella strettamente personale; ovviamente, il tutto, con un umorismo demenziale che dona a situazioni violente e disperate una vena ancora più grottesca. Cassie, che ha dissipato il talento da studentessa in medicina, vive nell’impossibilità di sostenere istituzioni – vedi l’università da cui è andata via – che diffondono l’odio, l’egocentrismo, la violenza e l’autoconservazione a discapito di tutti. Così si ritrova, come un serial killer, in un loop infinito di serate dove mette alla prova trasversalmente ogni genere di uomo, in attesa forse di qualcuno che spezzi un ciclo malato e puerile che definisce la sua esistenza.
Una composta, matura e ferina Carey Mulligan è il perfetto contraltare dello studente della Stanford University da cui la storia prende spunto: all’epoca delle accuse per violenza sessuale, fu definito un “giovane promettente”. Ma, nel catalogo in perenne aggiornamento delle vittime di violenza sessuale e ostracismo nel post denuncia, quanti esseri umani abbiamo perduto? Quante promesse sono state lasciate marcire per adattarsi a una società puritana e violenta?
Nell’amorevole indulgenza della catastrofe morale che stiamo vivendo, il film di Emerald Fennell (candidato già ai Golden Globes e ora agli Oscar) è un rape & revenge con uno stupro come MacGuffin; una violenta rivelazione delle ipocrisie dietro la perfetta facciata americana; un j’accuse privo di vittimismo e facili soluzioni, dove vengono a galla tutte le nostre incompetenze di fronte al vero dolore. La falsità di Ryan, ex compagno e possibile amore con tutta l’illusione che porta, la connivenza dell’ex amica Madison (Alison Brie), il cinismo della preside dell’Università, gli effetti devastanti non solo sulla vittima, ma sulla cerchia d’intimi, che ha contagiato completamente la psiche del Paese.
Nina, l’amica che ha subito lo stupro e che non vediamo mai, è la non-persona che abbiamo incrociato almeno una volta nella vita se siamo stati fortunati, o siamo direttamente noi, nel peggiore dei casi. Eppure lo stupro di Nina ha fermato l’orologio di Cassie in una eterna e devastante giovinezza, perché se la colpa, come sembra suggerire la regista, deve essere condivisa tra una società dilaniata tra moralismo e prevaricazione, allora anche la compassione e l’umana empatia verso il dolore altrui deve diventare una questione personale, per tutti noi.
Una donna promettente [Promising Young Woman, USA 2020] REGIA Emerald Fennell.
CAST Carey Mulligan, Alison Brie, Chris Lowell, Bo Burnham.
SCENEGGIATURA Emerald Fennell. FOTOGRAFIA Benjamin Kračun.
MUSICHE Anthony Willis.
Thriller/Commedia, durata 113 minuti.
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