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Ha suscitato scalpore la notizia che “As the Love Continues”, decimo long-playing in studio dei Mogwai pubblicato dalla Rock Action, sia balzato in testa alla classifica di ascolti del Regno Unito nella prima settimana di uscita del disco a Febbraio 2021. Gli stessi Mogwai hanno commentato la notizia definendola come “totalmente surreale”, a dimostrazione di quanto il quintetto di Glasgow sia consapevole di suonare una musica estranea alle tendenze dominanti in questo inizio decennio.
In molti si sono chiesti cosa può aver spinto il disco a balzare in testa alla classifica del Regno Unito. Sicuramente la qualità della musica proposta, ma anche la coerenza a un sound e a uno stile (l’impermanenza, l’istintività) divenuti, nel corso di una carriera ormai quasi trentennale (“As the Love Continues” viene pubblicato nella data corrispondente al venticinquesimo anniversario del primo singolo realizzato dalla band di Glasgow, “Tuner/Lower”), un marchio di fabbrica inconfondibile attraverso cui i Mogwai hanno plasmato i canoni del post-noise-rock, insieme ad un pugno di altre band seminali come i Tortoise, i Godspeed You Back Emperor! e gli Slint.
“As the Love Continues” ha il carattere del disco-mémoir, ovvero quell’opera definitiva che per maturità e consapevolezza di sé può racchiudere l’intera storia di una band, che è poi la storia di tutte le persone che quella band l’hanno ascoltata e amata. Ascoltando il disco gli aficionados della prima ora (ma non solo) potranno rivivere i momenti di ascolto dei dischi e dei concerti più importanti. La formula è sempre quella: sintetizzatori e tastiere al centro del paesaggio sonoro; crescendo apocalittici (“To The Bin My Friend, Tonight We Vacate Earth” e “Dry Fantasy”) che ricordano “Yes! I Am A Long Way From Home”, traccia iniziale del leggendario “Young Team”; e poi ancora le immancabili progressioni ruvide per stratificazioni di suoni di “Drive the Nail” e di “Ceiling Granny” e la notturna “Fuck Off Money”, con quell’autotune abissale da lato oscuro dei Daft Punk; c’è finanche la piacevole sorpresa di “Ritchie Sacramento”, che fa quasi venire il rimpianto per quella mancata transizione verso una forma-canzone più classica che i Mogwai avevano timidamente intrapreso con “Rock Action”.
Forse è arrivato il momento di accorgersi che i Mogwai sono stati qualcosa di più importante di un gruppo post-rock, avendo contribuito a creare la colonna sonora delle vite di molti. Chiunque abbia assistito ad almeno un concerto dei Mogwai, oltre a collassare dolcemente sullo strappo che divide il silenzio dalla tempesta sonora in “Like Herod”, non a caso definita da molti la “Smells Like Teen Spirit” di fine anni ’90, si sarà reso conto dell’esperienza mistica e ricca di suggestioni che deriva dall’ascoltare la musica della band scozzese.
In quest’ultimo disco i Mogwai si limitano dunque a fare quello che sanno fare meglio, ovvero dipingere, attraverso flussi di digressioni, feedback, autotune e distorsioni, paesaggi onirici continuamente sospesi fra quiete e caos. Sembra poco ma non lo è, e forse è proprio questo il segreto dell’ennesimo successo: i Mogwai continuano a rappresentare una delle poche certezze nell’attuale epoca di dispersione e frammentazione della musica contemporanea.
70/100
(Emmanuel Di Tommaso)
Immagine in evidenza di Antony Crook, presente sulla pagina facebook ufficiale della band per fini promozionali.