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Qualora non fosse ancora chiaro sui miei “tappeti volanti” sono particolarmente benvenute le artiste che con ironia e (talvolta) irriverenza fanno del loro lavoro multidisciplinare uno strumento di riflessione e azione. Soprattutto quando si parla di questioni di genere come in 50 Contemporary Women Artists (2018).
Il volume, vincitore del premio per l’editoria indipendente IBPA Benjamin Franklin (Silver Award), presenta la prefazione a firma di Elizabeth Sackler (fondatrice presso il Brooklyn Museum del Centro dedicato all’Arte Femminista che porta il suo nome) in cui viene citata anche Global Feminism, la mostra rivoluzionaria con cui nel 2007 veniva inaugurato quel Centro.
Una mostra fondamentale perché esclusivamente dedicata ad artiste donne internazionali (188) tutte nate dopo il 1960 e con opere a partire dal 1990. 50 CWA si pone come ideale prosecuzione di quel percorso coraggioso che ha portato sulla scena il lavoro delle artiste in un settore che soprattutto quando si confronta con il mercato dell’arte è ancora scarsamente considerato.
Selezionare soltanto 50 nomi nel quanto mai ricco panorama non è stato semplice per i due curatori John Gosslee e Heather Zises che hanno impiegato tre anni (e una quantità infinita di scambi di email e telefonate) per realizzare il libro.
La scheda di ogni artista è accompagnata dalle immagini delle loro opere più significative. Non poteva mancare la pioniera Judy Chicago con la sua opera-manifesto The Dinner Party (1979) esposta permanentemente al Brooklyn Museum di New York, insieme a Nalini Malani, Shirin Neshat e Sandy Skoglund. Le generazioni successive sono rappresentate da Kara Walker, Chitra Ganesh, Shahzia Sikander e, tra le altre, anche le fotografe Rania Matar e Mickalene Thomas.
Quanto mai ironiche, in particolare, Eugenia Lodi e Vadis Turner che hanno giocosamente ribaltato visioni stereotipate. L’una attraverso la raffigurazione di un fantomatico “uomo razzo” che nel collage digitale Rocket Man (2014) svela la sua identità tutta al femminile con la rosa, le labbra tinte di rosso, il rossetto e una sensuale ciliegia. Quanto alla torta nuziale (Tampon Wedding Cake, 2007), Vadis Turner l’ha realizzata con centinaia di tampax immacolati.
“L’arte non è di genere. È se hai una visione oppure no”, afferma Marilyn Minter vivace interprete del concetto di bellezza e sensualità.
Verissimo! Però per confermare l’autorevolezza di un pensiero, di un’identità, di un lavoro, di una professione le donne devono ancora fare a pugni con quella stessa società a cui appartengono e che per secoli ha negato i loro diritti.
A questo combattimento è associata l’ultima foto pubblicata nel libro (a pagina 358): una scultura in vetro soffiato rosa Bubblegum Boxing Glove (2014) che raffigura un guantone da boxe. L’autrice è la giovane artista inglese Zoë Buckman.
“Perché deve essere così difficile per noi donne fare quello che vogliamo? Perché? Mi chiedevo.” – mi disse Judy Chicago nell’intervista che raccolsi per il manifesto nel 2018 a Villa Arson, Nizza in occasione della collettiva Los Angeles, les années cool: Judy Chicago avec Marcia Hafif, John McCracken, Robert Morris, Bruce Nauman, Pat O’Neill et DeWain Valentine – “In America l’idea era che le donne non avessero fatto mai niente d’importante nella storia. Quando ero al college nessuno mi aveva insegnato nulla del lavoro femminile. Così decisi di cercare se effettivamente c’erano delle donne prima di me che andavano contro il sistema, come facevo io. Ne trovai molte! Mi faceva proprio incazzare questa grande bugia che mi era stata detta.”
La rabbia e la voglia di smascherare l’ingiustizia del sistema culturale patriarcale è palesemente alla radice del pensiero e della lotta delle Guerrilla Girls, espresso anche nel loro ultimo libro The Art of Behaving Badly (2020) – in italiano “l’arte di comportarsi male” – che ripercorre la storia del collettivo anonimo di artiste femministe che si è formato a New York nel 1985.
Il messaggio contro il sessismo e il razzismo di queste artiste che indossano sempre la maschera di gorilla non ha mezzi toni. Arriva diretto al punto senza aggirare numeri e percentuali, nomi di persone (critici, politici…), luoghi (musei, gallerie…), puntualmente riproposti nelle loro opere-slogan.
Uno dei primi è: “Le donne in America guadagnano solo 2/3 di quello che guadagnano gli uomini. Le artiste donne guadagnano solo 1/3 di quello che guadagnano gli artisti uomini”. Manifesti, volantini, adesivi – dal macro al micro – l’arte partecipativa delle Guerrilla Girls denuncia iniquità abissali.
Uno dei primi esempi è datato 1984 quando notavano che in una mostra internazionale organizzata dal MoMa di New York che vedeva la presenza di 169 artisti solo 13 erano donne e 8 artisti di colore. Com’è cambiato il mondo dell’arte in quasi quarant’anni?
“In questi giorni sentiamo istintivamente che qualcosa di importante è cambiato.” – scrivono le attiviste nell’introduzione di The Art of Behaving Badly – “Nessuno può affermare che la storia dell’arte e della cultura possa essere scritta senza includere tutte le diverse voci di quella cultura, ma i musei, le gallerie e il collezionismo sono ancora dominati e controllati da molti soldi e uomini bianchi. Perché la storia dell’arte possa essere qualcosa di più della storia della ricchezza e del potere, deve cambiare.”
Una lotta che continua, quindi, con l’invito che le stesse artiste rivolgono a chiunque voglia aggregarsi. La maschera di carta da gorilla arrabbiato è pronta, in fondo al libro, basta che il lettore la stacchi e la indossi!
Riprendendo la questione legata al razzismo, soprattutto in relazione alla situazione nordamericana contemporanea, ci troviamo a sfogliare con una certa partecipazione emotiva il libro Grief and Grievance. Art and Mourning in America (2020) che nasce come catalogo della mostra organizzata dal New Museum di New York.
Due parole intanto sulla concatenazione di eventi che hanno dato a questa pubblicazione un carattere aritmico tra urgenza e rallentamenti. La mostra era stata originariamente concepita da Okwui Enwezor (1963-2019) – una delle figure più carismatiche dell’arte contemporanea, curatore di mostre straordinarie come The Short Century (2001), Archive Fever (2008), The Rise and Fall of Apartheid (2013) e Postwar (2016), nonché tra i numerosi incarichi direttore artistico di Documenta 11 (1998) e della Biennale d’Arte di Venezia (2015) – per essere aperta nell’ottobre 2020.
Nel 2018, attraverso l’analisi di alcune opere storiche di artisti contemporanei, Enwezor aveva profeticamente individuato i punti deboli e le criticità della violenza di un razzismo radicato contro le comunità afroamericane che negli ultimi anni è stato fomentato dalla politica di Donald Trump.
Però la morte prematura del curatore, dopo una lunga malattia, lo ha escluso dalla conoscenza dei drammatici eventi avvenuti successivamente sempre durante la presidenza del tycoon. L’apice è stato raggiunto con l’uccisione di George Floyd a Minneapolis da parte di un agente della polizia che l’ha soffocato, il 20 maggio 2020, premendo il ginocchio sul suo collo durante l’arresto.
La disperazione di Floyd con quel suo “I can’t breathe” (“non riesco a respirare”) ripetuto è diventato l’urlo di protesta del movimento popolare attivista Black Lives Matter impegnato nella lotta al razzismo che ha incendiato le città statunitensi amplificandosi attraverso il network dei social.
Nel frattempo è esplosa anche l’emergenza sanitaria causata dal covid-19 e prima nota positiva del 2021 (che ci fa sperare in un futuro migliore) l’esito delle nuove elezioni presidenziali con l’esplicita dichiarazione d’intenti del duo Joe Biden-Kamala Harris.
Tornando al progetto editoriale Grief and Grievance. Art and Mourning in America, nel postscriptum è lo stesso Massimiliano Gioni a confermare l’importanza della “road map” indicata dal curatore nigeriano come punto di partenza per la scelta finale degli artisti Terry Adkins, Jean-Michel Basquiat, Kevin Beasley, Dawoud Bey, Mark Bradford, Garrett Bradley, Melvin Edwards, LaToya Ruby Frazier, Charles Gaines, Theaster Gates, Ellen Gallagher, Arthur Jafa, Daniel LaRue Johnson, Rashid Johnson, Jennie C. Jones, Kahlil Joseph, Deana Lawson, Simone Leigh, Glenn Ligon, Kerry James Marshall, Julie Mehretu, Tiona Nekkia McClodden, Okwui Okpokwasili, Adam Pendleton, Julia Phillips, Howardena Pindell, Cameron Rowland, Lorna Simpson, Sable Elyse Smith, Tyshawn Sorey, Diamond Stingily, Henry Taylor, Hank Willis Thomas, Kara Walker, Nari Ward, Carrie Mae Weems e Jack Whitten. La domanda fondamentale è “Come iniziamo a capire la relazione tra dolore (“grief”) e reclamo/torto (“grievance”)”? A formularla è fin dalle prime battute del suo testo la filosofa Judith Butler.
- John Gosslee e Heather Zises, 50 Contemporary Women Artists
Prefazione di Elizabeth Sackler
Schiffer Publishing, 2018
Inglese
PP. 360 (fotografie a colori)
ISBN 9780764356537
$ 45.00 - Guerrilla Girls, The Art of Behaving Badly
Chronicle Books, 2020
Inglese
PP. 192 (fotografie a colori)
ISBN 9781452175812
£ 22.99 - Grief and Grievance. Art and Mourning in America
(concepito da Okwui Enwezor)
Consulenti curatoriali: Naomi Beckwith, Massimiliano Gioni, Glenn Ligon e Mark Nash
Testi di Elizabeth Alexander, Naomi Beckwith, Judith Butler, Ta-Nehisi Coates, Okwui Enwezor, Massimiliano Gioni, Saidiya Hartman, Juliet Hooker, Glenn Ligon, Mark Nash, Claudia Rankine e Christina Sharpe
Phaidon/ New Museum, 2020
Inglese
PP. 264 (fotografie b/n e a colori)
ISBN 9781838661298
€ 69,95
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